Le coincidenze continuano.
La stessa riproduzione di microfilm che descrivevo in “Destini“.
Ove nella medesima pagina di giornale si recensiva un fotografo ed un mio concerto, senza sapere che molti anni dopo sarei divenuto anch’io, fotografo.
Ora noto un ulteriore particolare: nel margine destro dell’inquadratura si scorge – smozzicato – un articolo che compariva nella pagina contigua, in cui si parla dell’eccellente pittore Vittorio Vailati.
E allora?
Allora, pochi giorni fa – ancora ignaro – mi sono recato a vedere una mostra dello stesso pittore Vailati.
Impressionante, questo trittico di coincidenze a quasi quarant’anni di distanza.
Ma tutto ciò è solo un prologo.
Il fuoco di questo articolo è la fotografia di Massimiliano Terzi.
Sapete, più d’una volta di sono trovato in procinto di acquistare una così appellata bridge superzoom.
Sì, una di quelle digitali che arrivano – talvolta superano – i 1000 mm di focale equivalenti al formato Leica ma che recano al loro interno un lillipuziano sensore di 1 / 2,3 pollici.
Poi, non l’ho comprata, proprio per l’esiguità della superficie sensibile.
Anche Massimiliano non ha fatto così.
Il mille millimetri lo ha impiegato davvero, un catadiottrico.
Il che ci parlerebbe d’esclusione, nella misura in cui l’angolo di campo è stretto.
Tutto il contrario, ed invece.
C’è un mondo, lì dentro.
Reale, ideale, di traslata materia.
L’arte può essere dovunque, quando c’è.
Sapete, alla mostra di Vittorio Vailati c’era Alberto Burri, fuori.
Che cosa?
Sì, Alberto era lì fuori perché il portone della sala era uguale ad un dipinto di Burri.
E nella fotografia di Massimiliano c’è Hopper e Morandi.
Sì, quelli delle due altre immagini a corredo di questo brano.
Loro ed altri esponenti di correnti che furono, alcuni “minori” adornano anche le mie pareti.
Massimiliano, dunque.
Anni luce per severità prospettica e ricchezza tonale da ciò che potrebbe dare una bridge superzoom.
Ma soprattutto, Arte.
Sarà che la Torre Velasca è luogo imparentato per lavoro con Massimiliano, ma non è solo quello.
La compressione dei piani accosta il percettivamente inaccostabile.
Reinventa, così.
Apparenta, crea dialoghi tra ingnarità.
Poi, l’atmosfera.
Sospesa, suadente, cullata da un timbro tonale d’elegante sobrietà.
Cullata, ma enunciata con una perentorietà che non abbisogna di grido per affermarsi.
Insomma, una prova magistrale.
Il Dentro & La Circolarità, titolavo.
Dentro c’è un mondo, asserivo.
Un mondo circolare, si dimostra essere.
Il microfilm, la mostra, la fotografia.
Tutto ruota, nel tempo e nello spazio.
L’Uomo è qui per intridersi di vibrazioni che ritornano.
Suo compito, scongiurare dispersione.
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Claudio Trezzani
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