In “Oltre la trama” accennavo al fatto che per Aristotele – ed altre successive correnti di pensiero – un “accidente” costituisce ciò che in una entità non ne rappresenta l’essenza, e si pone come cosa altra rispetto alla sostanza.
Applicato alla Fotografia, serviva ed evidenziare come chi conferisce un sapore tramuale ad una immagine senza sovrimporre tessiture nella fase postproduzionale, riesce ad introdurre una tessitura che non è accidente, ma – giustappunto – sostanza.
Ma cosa succede allorquando un dato non è solo un accidente, bensì addirittura accidentale?
Accidente, accidentale recano la comune discendenza etimologica dal latino accidens, participio passato del verbo accidere.
Il qual verbo significa: “cadere addosso”.
Ecco, in fotografia, cose cadute addosso.
“Piovute dal cielo”, dal terreno, dal caso senza premeditazione – meglio, senza intenzione – da parte del ritraente.
Senza intenzione?
Qui occorre distinguere.
Lo facciamo analizzando la fotografia a corredo di questo brano.
Ab origine, il dato è accidentale: l’immagine descrive ciò che il mio drone vede quando – in attesa di decollo – è posto sul tetto della mia autovettura.
Il contenuto si compone di due aspetti:
- l’antenna radio visibile anche in riflessione sulla lamiera, che è presenza costante ed immutabile in quanto comune a qualsiasi localizzazione, essendo posta davanti all’obiettivo
- il paesaggio – anch’esso speculare – che varia a seconda del sito.
Il punto è: come mi sono “appropriato” dell’inquadratura?
Vedendola “accidentalmente”.
Ovvero: di essa avvedendomi solo a cagione del fatto che prima del decollo devo necessariamente guardare lo schermo dello smartphone, che mi fornisce il ritorno/video di ciò che il drone inquadra.
Ma l’operazione di guardare lo schermo non è necessaria in funzione della ritrazione, bensì è funzionale ad un controllo dei parametri di volo.
Così l’accorgersi della composizione è accidentale in quanto non discende da una primigenia intenzione ritrattoria.
E se l’intenzione è infusa “dopo”, può ancora essere definita tale?
Ci si può in tal guisa emendare dall’accidentalità?
Sì, se la consapevolezza – pur raggiunta in virtù del caso – si tramuta in una azione che declina un linguaggio.
E diviene una azione che declina un linguaggio nella misura in cui ciò al cui cospetto si è giunti viene interiorizzato quale espressione della propria inclinazione.
Un proposito “successivo”, ergo, è ancora un proposito.
Ecco, la fotografia: giostrare con l’inaspettato.
Così, la vita.
Accadimenti ci sfiorano o c’intridono.
Da esterni, diventano parte di noi.
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Claudio Trezzani
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