Dji ha appena presentato il drone professionale Matrice 300 RTK.
Professionale?
Occorre intendersi sul termine.
Noi qui siamo fotografi e videografi.
Non vigili del fuoco né tutori dell’ordine.
Non tecnici del settore energetico né esponenti della filiera agroalimentare.
A noi interessa la qualità d’immagine sopra ogni altra cosa.
Il mondo dei droni invece contiene una branca – che coincide con il segmento più oneroso all’acquisto – orientata ad una funzionalità altra rispetto alla mera produzione d’immagini.
Le immagini ottenute, in questo settore merceologico, hanno una valenza eminentemente ispettiva.
Tuttavia, una analisi comparata delle caratteristiche salienti del Matrice 300 mi consente ancora una volta di fare il punto sullo stato tecnologico raggiunto dai droni.
Cinquantacinque minuti di autonomia dichiarata.
Dato assai interessante nella misura in cui ci mostra i progressi compiuti in tal senso.
L’autonomia è importante: in varie occasioni ho desiderato poter mantenere in volo – onde non interrompere una sessione fotografica – per più della canonica (quando raggiunta) mezz’ora.
Per noi fotografi non si tratta di svolazzare: abbisognamo di adeguato tempo per collocare il velivolo in posizione, studiare la composizione, provare diverse inquadrature, consultare l’istogramma, giostrare con i parametri di scatto, tenere d’occhio i dati di volo. Dobbiamo essere messi in condizione – pena insignificanza degli esiti – di operare scelte meditate, come siamo soliti fare a terra.
Temperatura ambientale di corretto funzionamento estesa da – 20 gradi a + 50.
No, non è un lasso sovrabbondante.
Sino ad ora nella gamma Dji il modello che sopportava la temperatura inferiore si fermava a – 10. Più volte mi sono trovato in prossimità del limite, d’inverno. Ricordiamo che la temperatura in quota è inferiore a quella al suolo.
Quindici chilometri di raggio, in assenza d’ostruzioni.
Vedete cosa c’è scritto nell’avvertenza in basso a destra della fotografia che evidenzia questo dato?
“Always fly within visual line of sight unless otherwise permitted”.
Quell’ “otherwise permitted” è appannaggio di pochi.
Sostanzialmente, membri di organizzazioni governative.
Per tutti gli altri la regola generale è di rimanere in vista del mezzo, ovvero vicino.
Il dato però di riflesso ci fornisce l’indicazione di un forte segnale di comunicazione con il radiocomando, che alle distanze inferiori si traduce in una più salda connessione.
Vedete ora cosa c’è scritto in azzurro nella parte destra della relativa fotografia allegata? “41,0 X”.
Si riferisce al fattore di zoom.
Risultato esclusivamente ottico?
No: benché la lente montata abbia una assai estesa gamma di focali (da 31 mm a 556 mm equivalenti nel formato Leica), valori così accentuati si raggiungono solo “proseguendo” con un ritaglio digitale.
Piuttosto, la circostanza è rilevante per un altro motivo: in questo modo è possibile eseguire il tracciamento di oggetti in movimento rimanendo a distanza di sicurezza, lontano da eventuali ostacoli.
Come avrete notato, riguardo alle focali ho dovuto parlare di “focali equivalenti al formato Leica”.
Perché sì, siamo alle solite: il fatto che la gamma di focali “intrinseche” si situi invece tra 6,83 e 119,94 mm ci rivela una cosa brutta, e cioè che la taglia del sensore è di 1/1,7 pollici.
Un sensore più piccolo di quello montato sul minuscolo Mavic Pro 2, che non pesa certo 3,6 kg come questo Matrice.
Se poi ci si dota del modulo che comprende una focale aggiuntiva – ma separata – che copre un angolo di campo di 84 gradi (come un 24 mm nel formato Leica) il sensore che vi si interfaccia misura 1/2,3 pollici, per non parlare di quello termale.
Sapete, quando il Mavic montava un sensore di questa taglia, io auspicavo che si approdasse alla misura di un pollice.
Nei forum si blaterava che ciò non era possibile, invece fu proprio quello che si verificò – indirettamente accontentandomi – con l’avvento del Mavic Pro 2.
Non vi ho detto ancora la parte peggiore, per noi fotografi: in nessun caso il Matrice 300 può registrare files raw.
Questo particolare non rappresenta un difetto nell’impiego ( ispettivo,come scrivevo) d’elezione del modello, ma evidenzia come esistano priorità divergenti da quelle nostre.
E quali sono, quelle nostre?
Qualità d’immagine, qualità d’immagine, qualità d’immagine.
Abbiamo bisogno di un sensore grande come quello montato sul modello Inspire (beninteso: solo con il più recente modulo).
Trentacinque mm Cinema lo chiamano, e non è drammaticamente lontano dal 24 x 36 mm.
Con l’Inspire assiso nell’empireo dei costi stratosferici, sarebbe interessante che un sensore così – od almeno con dimensioni da consorzio quattro terzi – trovasse alloggiamento in una futura versione ingrandita del Phantom.
Già, mentre il Mavic Pro 2 ha raggiunto, relativamente a questo aspetto – la taglia del Phantom, un nuovo drone che si situasse tra esso e l’Inspire potrebbe finalmente corrispondere alle aspettative di qualità dell’ambiente fotografico professionale.
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Claudio Trezzani
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