I codici

Contea di Tulsa, oltreoceano.

Una Dodge Charger dello sceriffo ferma un three row crossover per un controllo.

Mentre il deputy perquisisce il guidatore, una collega ispeziona l’abitacolo.Trova del weed in stagnole, e scatta la presunzione di possession with intent of distribution. Sì, il guidatore è ritenuto uno spacciatore di controlled substances, come colà le definiscono. È una felony – un reato – ma purtroppo di frequente rilevazione, da quelle parti.

La deputy continua l’ispezione.

Ad un certo punto la voce diviene un grido.

Che contiene due sole parole.

Fifty Nine, le parole.
Il collega, quasi in un riflesso pavloviano, si getta a controllare la chiusura della manette che aveva già stretto ai polsi del guidatore/spacciatore.

Cosa è successo?

Fifty Nine (59) è il codice usato da quel Corpo di Polizia per designare il rinvenimento di armi.

A cosa ci serve questo – veritiero – racconto in ambito fotografico?

Hanno agito proteiformi dinamiche linguistiche, in quell’episodio.

Segnatamente, codici.

Sì, al plurale.

Se codice è quello numerico, lo è altrettanto il timbro di voce.

Alla deputy urgeva comunicare un pericolo.

In caso la menzione numerica non risultasse immediatamente familiare al collega, il tono acuto e l’incrementato volume della voce rispondeva allo scopo di rendere altrimenti percepibile il summentovato pericolo.

Tutto è stato codice, e lo è anche da noi.

La fotografia a corredo di questo brano.

Sul piano letterale l’intellegibilità è inequivocabile.

Un muro, di notte, di taglio illuminato.

Pensilina di stazione ferroviaria, potremmo aggiungere, ma è inessenziale.

Sinora, nessun codice estrogeno alla comune conoscenza materiale.

Sul muro c’è una scritta.

Parrebbe il trionfo del codice sopra la letteralità, ma non lo è.

Perché se una scritta che richiama conoscenze simboliche di incerta condivisione rappresenta intrinsecamente una quintessenza codicistica, nell’economia di questa immagine riveste un ruolo meramente accessorio.

Accessorio, perché trattasi di apposizione estemporanea il cui segno ed intento gode di una autonomia astratta che inficia la correlazione.

No, qui i codici sottesi sono altri.

L’analisi formuale rappresenta istanza in sè conchiusa: non siamo più alla letteralità funzionale, ma discettando di geometrie e pesi non stiamo ancora prescindendo da una descrizione che si nutre di neutra evidenza visiva.

Debbo allora spendere il lemma “atmosfera”.

Hopperiana?

La direzione è imboccata.

Oscurità squarciata da luci, un taglio severo, un senso di sospensione.

Manca però l’elemento umano, pur promanante un disperante algore, nel diverso caso del maestro statunitense.

Filone affine, epperò.

Aleggia l’immoto, si sta formando una scuola al riguardo.

Fotografi progressivamente ritrovansi in questa cifra stilistica, trattare cose infondendo sfuggente inquietudine o malintesa insensibilità.

Codici.

Piani di lettura, qualcuno dice.

Tutti riconoscono cose, altri ne individuano di ulteriori

Qual’è allora la fotografia?

È il prodotto del pensato collettivo?

Un passo indietro.

La parola è “intenzione”.

E prima ancora, “oggetto”.

Un oggetto diviene soggetto di ritrazione senza perdere la sua posizione ontologica.

Ma il fotografo sceglie.

Suggerisce direzioni.

Esse possono essere percorse cavalcando codici.

Il meccanismo è: con il taglio si esplicita una interpretazione la cui intellegibilità poggia sull’evocazione di canoni entro il raggio di un comune possesso.

Si allude a cose non endogene alla impersonale proposizione oggettuale – ed in questo oggettiva – cionondimeno accessibili al patrimonio culturale di chi guarda.

Una cosa / la sua riproduzione / l’attribuzione di altre cose, sopra.

Ecco, sopra.

Cose ulteriori che hanno un rapporto sfuggente con la rituale condizione di necessità e sufficienza.

Non necessarie quanto ad imprescindibilità, ma indispensabili in rapporto all’inesorabile ineluttabilità espressiva.

E non sufficienti per imprevedibile irraggiamento delle percezioni possibili.

Ognuno trasferisce all’immagine il suo vissuto, ed insomma.

Questa la Fotografia: si parte dal Noto per approdare all’Ignoto.

O all’infinita divaricazione dell’esprimibile.

 

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Claudio Trezzani

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