“Graffi d’ombra erano le parole sui cuori, sulle scarpette, sulle mani d’argento.
Penombra era il non necessario, ciò che non affiorava con spreco e timore, la luce affaticata che vanamente chiamava dal suo buio, dal suo vano, senza affrontare il buio”.
Da “Dialogo”, di Antonella Anedda.
Graffia, un’ombra?
Può una penombra esprimere il non necessario?
Esiste una luce affaticata?
Tutto esiste.
Luce, penombra, ombra, buio.
Esistono per essere avvolti da ciò che siamo.
Ciò che siamo al cospetto di ciò che vediamo.
Ecco la scala di grigi, di noi fotografi.
Ecco la pregevole fotografia di Jimmy Lu Bomir.
Anche qui ci sono vani, e non sono vani, inessenziali.
Sono nicchie, reconditi pertugi.
La luce li modella, scavando.
Sono luoghi di pensieri riposti, o declamati.
Di emozioni rattenute, od espresse.
A ciascuna gradazione un peso emotivo.
In ciascuna sfumatura una vibrazione peculiare.
Dentro ogni piega, un ricordo o, per converso, una proiezione.
Si compendia, in Fotografia.
Si stilla sunto, tessendo.
Il petalo è oltre il petalo.
La bottiglia oltre la funzione.
Il soffuso digradare oltre la forma.
Sì, ogni volta una ricapitolazione.
Si mette in scena l’articolato sè, in ogni scatto.
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Claudio Trezzani
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