Fucile a parte

Considerate il mirino telescopico di un fucile.

Ingrandendo più del visus umano, permette di meglio indirizzare il proiettile sull’obiettivo.

Esclude l’attorno, però.

Se l’occhio lasciato libero dalla mira non permane vigile, un soldato della parte avversa potrebbe sopraggiungere di soppiatto ed eseguire sul possessore di fucile la stessa operazione che questi s’accinge a compiere.

Nel precedente articolo “Tra presenze ed assenze” mi diffondevo sullo sviluppo diagonale – del contenuto di una fotografia – che dal primo piano sfuma verso l’orizzonte, vi sia o meno qualcosa lì per contrappuntare.

Volgiamoci dalla visione diagonale a quella frontale.

 

Immaginiamo ora un graffito murale.

Come opera artistica, è intrinsecamente latore di linguaggio.

Ritratta frontalmente, il fotografo non aggiunge niente.

L’opera vale qualcosa, la fotografia dell’opera niente.

Si sottrae, di tutta evidenza, a questa classificazione, la meritoria opera di quei professionisti la cui committenza incarica di un lavoro di matrice documentaria esprime un alto valore artigianale.

Ai nostri fini, tuttavia, dobbiamo abbandonare la visione frontale e recuperare quella diagonale.

Qui rispunta il mirino telescopico del fucile.

Se il muro è prospetticamente in fuga, con un teleobiettivo fotografico ed una generosa apertura del diaframma possiamo ottenere una marcata sfocatura attorno al bersaglio prescelto.

La parte nitida è dove il proiettile si conficcherà.

Ma come ci poniamo rispetto all’attorno?

Tracciamo prima una divisione.

Con il muro nudo, avremmo avuto la compresenza di una volontà (quella del fotografo) e di una inconsapevolezza materiale (il muro stesso).

Con il muro adornato da graffito si introduce un terzo fattore, che soverchia il secondo privandolo di autonomia statica.

Questo terzo fattore è l’opera dell’autore del graffito.

Si fronteggiano ora due entità ciascuna dotata di propria volontà e facoltà di scelta.

Queste ultime due proprietà sono già state definitivamente espresse dall’artista.

Quanto al fotografo, invece, può ancora giostrare.

Può farlo con l’inquadratura e con la sfocatura.

Ecco perché la prospettiva diagonale.

Le due fotografie a corredo di questo brano esemplificano l’approccio.

In quella a colori succedono cose.

Il fulcro è il similocchio, e lì il proiettile è diretto.

L’azzurro cattura lo sguardo per relazione cromatica con gli altri colori presenti, e per il dinamismo grafico che gli è conferito dall’incorniciatura a “v”.

Progressivamente verso destra il dialogo cromatico s’acquieta, mentre l’intreccio formuale persiste ancora quando la tinta s’è unicizzata, per poi trovare dissoluzione solo in prossimità del margine destro dell’inquadratura.

La fotografia in scala di grigi, ora.

Non è un graffito, ma potrebbe esserlo.

È concettualmente entusiasmante, questa cosa qui.

Perché delinea una ulteriore possibilità che trova un – inaspettato e prepotente – novello sbocco.

La novità è che sull’inconsapevolezza del muro si è innestata una forza casuale – la disgregazione dell’intonaco – che pur serbando assenza di coscienza ha apportato una lussureggiante ricchezza di segno.

Il fuoco (il metaforico proiettile) ho convogliato sulla prima ferita a destra.

Si, la prima ferita a destra.

Gronda sangue, quel vigoroso sbrego sul muro.

Il dramma si consuma nella neritudine, e poco sopra ed avanti l’arco soffre ancora con la piccola seconda lacerazione.

Indi la battaglia continua, si dispiega con alterna nervosità sino al quieto sfumato approdo lontano, in basso a destra nell’inquadratura. Il bianco dichiara che una cosa è sorta, ha vibrato di violenza e partecipazione, ma poi la luce ha ripreso il sopravvento.

Sapete, mi sono fermato in tempo, durante la redazione dei sovrastanti paragrafi.

Perché lo sbrego sul muro promana tale travolgente compiutezza che l’avrei detto opera umana.

Sì, c’è mancato poco che non avessi descritto lo sbrego come un graffito.

Anzi, tridimensionalmente una scultura.

Quanto incantamento per noi fotografi!

Accadono continui prodigi, là fuori.

Assistiamo ad una continua e cangiante congiura tra volontà e caso.

Benedetta avventura è rimanerne deliziate vittime.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534

 

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