Fototemnia, tagliare con la luce

Sì, “tagliare”, non “scrivere” con la luce.

Non fotografia, bensì fototemnia.

Da τεμνω – tagliare in greco – si può correttamente coniare il neologismo.

Perché ciò avvenga bisogna chiedere al Dio Elios.

Ma non basta, occorre collaborare agli eventi.

Sapete, quando Matisse vide un quadro di Braque con delle case a cubo e diede la stura al relativo movimento non pensava alla fotografia di Nicholas Alan, anche perché costui non era ancora nato.

Nè intendeva rinunciare alla sfaccettata simultaneità prospettica, che è un modo di rappresentare cose inaderente all’esperienza sensibile.

La pregnante fotografia di Nicholas Alan, invece, è aderente all’esperienza sensibile: chi era presente al momento dello scatto ha visto la stessa cosa che vediamo nell’immagine riprodotta.

Ma la sferza grafica è la stessa: geometrie tagliate con l’accetta, affilati blocchi, stagliativa nettezza di ombre e luci.

Chiaroscuri sì, ma non siamo alla morbidezza di un Caravaggio o di un Velasquez.

Piuttosto, occhieggia una sezionarietà di stampo dechirichiano.

Pur essendo presente la scala di grigi, vi è un accenno di ferocia mentale di matrice manichea.

L’assertività è quella di un Re Salomone fattosi efferato capomafioso.

Sono crude sentenze, i rapporti tonali e formuali.

Tonali, soprattutto.

Il fotografo ha ammaestrato la luce ai suoi fini di linguaggio.

E di reificazione, anche.

La modella non è più essere umano per divenire parte indivisa dal conglomerato di segni.

Ogni parte, possedendo sintetica icasticità, pare reclamare autonomia, ma finisce con l’assogettarsi alla volontà del demiurgo.

Sì, Nicholas Alan qui è un platoniano demiurgo.

Plasma il reale al servizio di un’idea.

Ecco ciò che entusiasma in Fotografia: si può cucinare il sembiante senza tradire il letterale.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534

 

 

 

 

 

 

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