Fotografia narrativa

Consideriamo un giovane anglosassone con un berretto da baseball calato all’incontrario.

Se vorrà mostrarci una fotografia flagellata da un postproduzionale cursore spinto al limite destro della funzione clarity – o un volo di drone reso sguaiatamente aggressivo dall’applicazione incondizionata di un chiassoso LUT – definirà l’immagine “epic”.

Si sa, una espressione aulica prima o poi discende negli inferi della crassitudine.

Ma l’esposizione alla corruzione non arreca nocumento alla primigenia pregnanza semantica.

È dunque lecito definire epica una fotografia?

Il termine deriva dal greco έπος.

Parola, e – per estensione – racconto.

Parrebbe in tal guisa limitrofo al lemma  λόγος,  ma in  έπος  vi è calore di caminetto e di modulata nonnesca voce.

O il vasto languore di Odissea 4 – 597.

Del resto da noi l’onda è superbamente cavalcata dall’Alfieri.

Le epiche selve immense della Svezia scoscesa, quel genere di cose.

E sì, onde.

Non in senso figurato, ora.

Anche Marina Cano e Marcello Chiodino cavalcano onde.

D’accordo, non se ne intridono i pantaloni.

Ma il loro obiettivo va proprio là, ove le spume tronituano.

E conta più il cosa che il dove.

Marcello si spinge anche a Nord, ma poi torna alla sua Sardegna (in un ulteriore scatto qui non riportato ho creduto individuare in remoto baluginìo Capo Caccia).

Marina con il suo seicento estrae ogni grammo di poesia attorno ad un faro.

Vanno ove le cose accadono.

Quando il dramma esplode.

Sono lì mentre la deflagrazione risuona.

L’intensità dell’attimo consegnata al caminetto del nonno.

Sia bretone pescatore aduso a metus reverentialis nei confronti del liquido elemento da trattare quale irosa divinità oppure quieto travèt cui l’iconica vividezza rimembra sue proprie interiori pugne, la potenza è addensata imperitura in un singolo fotogramma.

Addensata per condensazione.

Epico, ma non epopeico.

Non un racconto per immagini.

Una singola immagine che implosivamente tutto racchiude.

E ogni volta l’incendio arde con inesausta energia.

 

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Claudio Trezzani

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