Il Castello della Pietra, altero ed impervio sopra il torrente Vobbia. Una immagine in scala di grigi, realizzata per tendere all’espressione senza abdicare all’illustrazione. Cosa significa?
Il trattamento postproduzionale mira a restituire una lettura astratta – un insieme di forme e toni – conchiusa tra intenzione ed esito dell’atto. Nondimeno, la letteralità del contenuto serba sua intellegibilità. È un inessenziale sottoprodotto, la nolente rappresentazione funzionale? Rispetto all’intenzione, si.
Al centro si riconosce il castello, e dove si trova. Vogliamo allora destinare la fotografia alla Pro Loco.
Il pensiero prenderà una direzione, si finirà per dissertare su quanto spazio vi è nel vicino parcheggio, su quanta esplorazione consente il biglietto di visita al maniero. Non questo l’autore aveva in mente. Cosa è accaduto, allora? Che l’immagine mostra “troppo”. Il contenuto è tale che, non volendolo modificare nel tratto, l’istanza illustrativa non può essere elusa.
Così, l’autore non ha mezzo di evitarlo: chi guarda non può non sapere che di castello si tratta. E che la ripresa è aerea, probabilmente dronuale.
Altra direzione intrapresa dal pensiero: quale tecnica è necessaria per arrivarci, quale il rischio di collisione, di quale specificità tecnica il dispositivo è latore. Succede pertanto che oltre all’interazione ogni volta soggettiva con il vissuto di chi guarda, vi sia una raggiera di prospettive valutative d’impronta oggettiva: chiunque può concentrarsi sulla componente astratta, pensare all’aspetto turistico, soffermarsi su quello tecnico (ne possegga o meno gli strumenti cognitivi specifici).
Lo schema è: A(a+b+c), ove “A” è il contenuto neutralmente inteso, “a” l’istanza astratta, “b” quella turistica, “c” quella dronuale. L’insieme a+b+c è oggettivo poiché afferisce a tre ordini di considerazioni attingibili da chiunque, anche se ognuna suscettibile di “rivestimento” personale. Avremo così a1+b1+c1; a2+b2+c2, etc.
Ciò determina anche uno spostamento di peso: a1 diverso da a2 non solo quanto a soggettività della percezione, ma anche ad intensità della reazione rispetto alla valutazione globale. Qualcuno sarà più sensibile alla componente astratta, altri a quella utilitaria. A si esplica nella parcellizzata composizione di ciò che sta in parentesi. Inoltre, a1, a2, etc, sono suscettibili di ulteriore rappresentazione.
Accennavo allo spostamento di peso conseguente a differenti e diversamente localizzate intensità di reazioni emotive. Vogliamo utilizzare le taglie del vestiario?
Bene: colui che ha elaborato l’istanza “a’ con partecipazione e valutato con media attenzione l’aspetto “b” corrisponderà a “a1XLb1L”, e così via. Va poi considerato – anche se il confine è evanescente – che l’elaborazione mentale si può ulteriormente scindere tra algido ragionamento funzionale e reazione emozionalmente connotata dalla suscitazione di evento pregresso, concomitante o contingente
Per esempio: “mi verrà utile recarmi a quel castello per raccogliere dati su…”; “la strada per arrivarci è piuttosto disagevole”; “una volta, in corrispondenza dell’ultima curva prima del parcheggio, ho rischiato un incidente”.
Potremmo così arricchire la stramba equazione con un: “a1XLxb1Ly”, ove “x” e “y” introducono la compresenza e la qualità delle reminescenze e/o delle sensazioni parallele. Che possono essere preponderanti, tali da ofuscare le considerazioni dirette: poniamo che qualcuno annoveri un parente che si sia esizialmente gettato dalla rupe.
Ma, al di là di a/b/c può ben esistere una incognita impreveduta, che denomineremo “n”. esempio: “ah, da tempo programmavo di visitare quel castello, la sua indiretta visione mi fa pesare la mia condizione di temporanea infermità”. Si è così introdotta nell’equazione un fattore che attiva un coinvolgimento partendo da una premessa doppiamente esterna. Siamo a: A(a1XLxb1Ly + ulteriori combinazioni di questi fattori + n).
Un momento, però: (a1XLxb1Ly + ulteriori combinazioni di questi fattori + n) si riferisce alla percezione del fruitore, non dell’autore.
Dunque, la completa estensione della bislacca equazione deve consistere in A(a1XLxb1Ly + ulteriori combinazioni di questi fattori + n + z), ove “z” è l’intenzione dell’autore.
E siccome l’intenzione sfocia nella realizzazione possiamo aggiungere quest’ultima, appellandola “zb”. Anzi, alla z potremmo attribuire ogni variante – sebbene sotto diversa prospettiva – che abbiamo contemplato per i fruitori dell’immagine.
Ergo: A(a1XLxb1Ly + ulteriori combinazioni di questi fattori + n + z + zb + subz + subzb). Ecco completata questa risibile equazione, che giocosamente passa in rassegna i fattori in gioco tra concepimento, realizzazione e fruizione di una fotografia.
Ora mostriamo questa strana equazione ad uno scienziato del calibro di Gianpaolo Benincasa (è un appassionato di fotocamere d’epoca di pregio: questo suo lato emerse durante una telegrafica corrispondenza epistolare che tra noi si verificò nel 2013): ovviamente riderebbe. Perché ho nominato proprio lui?
Perché qui non siamo alla Guerra dei Mondi di H.G.Wells: siamo alla Coesistenza dei Mondi, tema per l’appunto caro a Giampaolo Benincasa: la Giocosa Equazione che ho – semiceliando – rappresentato e descritto segnala il vorticoso innesco di forze in gioco quando una fotografia è veduta: l’esponenziale sovrapporsi ed intersecarsi di mondi interiori che viaggiano, si espandono e si contraggono dentro e fuori l’immagine.
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Claudio Trezzani
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