Psicologicamente ruotare attorno al sembiante.
Più volte in questa rubrica mi sono occupato di concetti come:
- le caverne platoniane.
- la suspension of belief di coleridgiana memoria.
- le tavole di Rorschach.
- l’umana propensione ad antropomorfizzare il visibile.
- la reificazione.
Con le fotografie a corredo di questo brano possiamo viaggiare attraverso proposte iconografiche che gradualmente conducono l’intelletto all’astrazione.
La seducente immagine di Piotr Skrzypiec rappresenta un punto di partenza.
Gli alberi non permettono a chi guarda di disancorarsi dalla letteralità della rappresentazione.
Essi proclamano l’identità floristica della scena.
E’ si possibile cullarsi nei dolci declivi, ma questa equilibrata ed armonica composizione chiede d’essere assaporata senza trascurare la sua essenza documentaria.
Drew Doggett, ora.
Stesse miti ondulazioni.
Miti, ma vigorose nel loro potere evocativo.
Non vi sono elementi di cogenza individuativa, qui.
La mente è libera di trattare le forme come suggestioni informi, qui.
Informi, o traslate all’antropomorfismo.
Con Ebby May il percorso è inverso ma speculare.
Ciò in quanto la riconoscibilità del sembiante s’appalesa sin dal primo sguardo.
Nondimeno, la parzialità dell’inquadratura conduce chi guarda con suadente prepotenza verso territori di interpretazione graficamente peculiare, e ad un tempo infinita nello spettro del possibile.
Karl Louis, infine.
Vi è una entusiasmante polimorfità del segno nella sua opera.
S’impone la modella, s’impone l’ambiente.
Ma è una poliformità che non esprime dualismo o dicotomia.
Piuttosto, vi è una danzante collaborazione fra istanze.
E la concordanza cromatica tra pietra ed incarnato non apporta una reificazione spersonalizzante.
Induce invece un osmotico amalgama che colloca l’umano nell’arioso flusso del generale naturale organico.
Ecco, la Fotografia.
Indirizzare la mente, far vibrare e librare l’umano verso impreveduti lidi.
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Claudio Trezzani
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