Qui in NocSensei è apparso un acuto articolo di Josep Fabrega Agea, basato sulle fotografie di Cristóbal Carretero Cassinello.
Trattava dell’ispirazione che quest’ultimo traeva da dipinti per realizzare immagini che infondessero la sua cifra espressiva su temi e suggestioni del pittore considerato. Il pregio di questa operazione risiede nel fatto che Cristóbal è riuscito a concretizzare il proposito senza modificare la realtà fotograficamente ritratta.
Un’altro modo di correlarsi ad esperienze altrui effettuate con altri media è ricreare ambientazioni che rimandino visivamente alla fonte.
È quello che fa Ole Marius Jorgensen.
Chi guarda subito esclama: “Hooper!”.
Vi si coglie quel senso di quieta alienazione, di raggelante compostezza, di stuporosa fissità.
Ma non vi si scorge dolore lancinante.
Non grido disperato e disperante.
Non algore frutto di fuoco divenuto cenere.
Vi è avvolgenza.
Non rassicurante, ma capace di sprigionare scandita diffusione.
La luce, come in Hooper, sottolinea (figure) e distanzia (finestre inanimate), ma non ha crudele abbacinanza.
Guida, accompagna,suggerisce.
L’elemento umano, poi.
“Naif” è lemma da maneggiare con cura.
Significa troppo – dunque, troppo poco -da quando multiformi tendenze artistiche se ne sono impossessate.
Però, sì: nella postura degli esseri umani di Jorgensen intravedo non già una ingenuità – etimologicamente nella relativa corrente pittorica – ma una rotondità sottomissiva.
Si, rotondità sottomissiva.
I soggetti hanno il capo lievemente reclinato, le spalle un poco incurvate.
Ma non recano traccia di straziante secchezza, di immota reificazione.
Sono oggetti sommessamente lieti di esserlo diventato.
Figurine alla Bruegel, ma senza feroce livore.
Vanno verso Magritte, ma senza l’icasticità nel segno del francese.
E vi anche evocazione di David Caspar Friedrich.
L’autore se ne dichiara estimatore, e lo si percepisce.
Perché le opere di Friedrich non hanno sempre la maestosa affilatezza del gentiluomo con bastone che si erge su rupe.
Più spesso, invece, anch’esse palesano una avvolgente rotondità, che però s’innesta su di una “ingenua” semplificazione del tratto, che stempera la gamma espressiva tra mestizia e dolcezza.
Ecco, Jorgensen percepisce, introita, elabora.
Si ravvisano le summentovate influenze, ma, agitato il bicchiere, ciò che emerge è il suo proprio tono vitale.
Che non inscena aspri contrasti.
Vi è indizio di crudezza, ma essa annega con tranquilla rassegnazione in un mare in cui animato ed inanimato galleggiano con pari spersonalizzata attitudine.
Per le fotografie: Ole Marius Jorgensen all rights reserved
Per il testo: Claudio Trezzani all rights reserved.
Claudio Trezzani
https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534
Forse è Hopper – non Hooper.
Comunque io esclamerei: Roberto Innocenti! perché ritrovo in queste fotografie di Jorgensen l’armamentario tipico dell’illustratore che traduce in immagine il realismo magico dei racconti che illustra, e gli elementi spesso sono ricorrenti: la notte, la porticina aperta, la lucina, il personaggino solo, l’atmosfera costruita con palette tono su tono…
Questa è un po’ una critica al fotografo, perché la fotografia ha delle proprie peculiarità e lì dovrebbe rivolgersi la ricerca invece di farla assomigliare a un altro medium. Diciamo che per me la linea di confine è Antoine D’Agata quando si avvicina a Bacon, a lui riesce bene perché quel che fa corrisponde alla sua esistenza, è autentico, ma un passo oltre e diventerebbe manierismo. (Mentre non è assolutamente una critica a Innocenti che è uno dei più grandi illustratori italiani).