Fotografia, direzioni, passaggi

La fine intellettuale Gaia Altavilla accosta, per sensazione evocata, una mia ritrazione dronuale al pascoliano nido.

Osservazione generosa ed indulgente da parte sua, anche se qui ci spostiamo dalla Garfagnana alla Val Taleggio.

Ma Gaia nel percuotere il diapason catalizza vastità di tema.

Ella da il là alla gioiosità d’interconnessioni possibili.

Quelle che la fotografia rende possibili, intendo.

Ed allora un paesaggio induce ad un passaggio, se mi scusate la sottrazione di vocale.

Il passaggio a luoghi propri, o fatti propri tramite mediazioni.

Mediazioni di carta stampata, o pellicole proiettate.

Così a Lierna c’è una casa.

No, non reca targhe celebranti illustri soste.

Eppure trovo epitomizzi il Manzoni, quella casa.

Magari la vide a bordo di calesse, o forse no.

Certo i suoi protagonisti potrebbero averla abitata, per come è.

O nella campagna bergamasca, cascine.

Non ha girato lì Ermanno Olmi, ma lì potrebbe aver ambientato cose d’alberi e zoccoli.

O la villa ove si realizzò la trasposizione cinematografica de La Stanza Del Vescovo, io so dov’è.

Sapete, giorni ho fatto una cosa orribile: mi serviva indicare un manufatto d’archeologia industriale a persona in grado rendermi edotto di pregresse frequentazioni, e per venirne a capo ho inviato tramite Whathsapp una fotografia del sito ricavata da uno screenshot della funzione Street View in Google Earth.

Con un’altra casa, nella stessa cittadina, non l’avrei fatto.

Perché lì in parte si decise il mio destino.

Cio per dire: se una immagine scatena, non possiamo profanarla con una ritrazione asettica.

Ci vuole la passione di brandeggiare – o far volare – ponderose o complicate attrezzature, per consacrare.

E’ lì che principia il viaggio.

E la fotografia l’incarna, il viaggio.

Da sensore digitale a carta.

Non la carta della stampa, ma quella delle parole impresse.

O da pellicola a pellicola.

Da quella rintanata entro reflex, a quella sciorinata in proiettore.

Sì, la fotografia porta verso libri e film.

E soprattutto, macera viaggi in noi.

Sì, li macera.

Perché è sì un protendersi, ma con interiore circolarità.

 

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Claudio Trezzani

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