Non proprio una caverna platoniana.
Semmai, una caverna platoniana sui generis.
Perché nell’immagine di Platone la funzione è di ingannare.
Qui invece, è di completare.
Sì, la fotografia a corredo di questo brano.
L’attenzione è prepotentemente richiamata dal gioco di gambe.
Sappiamo che appartengono a bipedi pensanti, ma non ne scorgiamo il volto.
No, non è vero.
I volti li scorgiamo, ma alla maniera di Platone.
Sì, riflessi sul tronco a destra.
Adesi come avvinghiate sono le estremità inferiori.
Conferma d’intimità, o quanto meno coinvolgimento.
Una traslazione integrativa.
Le teste sono state mozzate e collocate a lato.
Confermano, nè ingannando nè concettualmente stornando.
È una magia, ma riscontrabile da chiunque fosse lì.
Quale il ruolo della fotografia, allora?
Fissare e perpetuare.
Non tutti coloro che erano lì avranno notato il gioco visivo.
Tra chi lo colse, qualcuno se ne ricordò anche dopo, altri no.
Con la fotografia, chiunque se ne avvede, e può ripetere l’esperienza ogniqualvolta lo desidera.
L’autore ha deciso taglio e tono, ma ciascun osservatore può rivestire l’immagine della propria sensibilità e del proprio vissuto.
Ancora, e poi ancora.
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Claudio Trezzani
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