Londra.
Chi va al Victoria and Albert Museum può avere una lente d’ingrandimento corniciata da una impugnatura in plastica.
In tal guisa, può meglio avvedersi dei dettagli, nei dipinti.
La fotografia di David Lingham, dapprima.
E’ stata realizzata con un pinhole, ed è sublime.
Lo è perchè palpita in modo raggiato, oltre che raggiante di trionfo espressivo.
Raggiato, poichè vi è movimento nella materica diffusione.
E quest’ultima avviene in quanto il soggetto – il legno – impera senza reclamare una attenzione individuale.
L’emozione è raggiunta tramite osmosi con l’ambiente, piuttosto che non l’enfasi al particolare.
Tutto canta, non vi è un soverchiante assolo.
Ecco il felice paradosso: mentre i dipinti non possono rivaleggiare con le fotografie quanto a riproduzione del reale – ma ben venga la lente al museo, per delibar ancor meglio le vibrazioni del pennello – nel caso di David vi è una consapevole rinuncia all’estrema risoluzione in favore di un caldo lirismo.
L’immagine di un altro David, ora.
David Zhornski, la fotografia l’ha realizzata mettendo dentro una Leica M6 un rollino di Kodak Tri X 400 ASA.
Niente pinhole, ma nemmeno una ricerca del più esasperato microcontrasto.
Vien alla bocca l’espressione “matrice pittorica”, e non me ne astengo perchè così è davvero.
Il sapore è proprio quello.
Equilibrio, densità, armonia, velluto.
Sì, velluto.
Una temperatura emotiva che gentilmente accarezza, nonostante l’autore abbia titolato “ossessione”.
Natura e muri, irregolarità e manufattili geometrie.
Sono gli stessi elementi utilizzati da Carlo Dalmazzo, già stimato docente a Brera, qui torniamo ai dipinti.
Ecco, oltre il dettaglio.
Oltre, ovvero più in alto.
L’occhio s’appaga per l’insieme, non certo per una singola parola che spicchi in corsivo od in grassetto.
La danza nulla esclude.
Permette esplorazione, ma non discriminante fissazione.
David Lingham, David Zhornski, fotografi.
Carlo Dalmazzo, pittore.
Oltre il dettaglio, ovvero più in alto.
Hanno udito una polifonia, non hanno permesso il canto s’elevasse monocorde.
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Claudio Trezzani
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