Vediamo ciò che vediamo, coi droni?
Sì, è un gioco di parole.
E sì, l’affermazione corrisponde ad una precisa annotazione tecnica.
Perché la coincidenza tra il nostro visus oculare diretto e quanto inquadra un drone dipende dall’angolo di campo che la lente di quest’ultimo abbraccia.
Nei droni impera – è il dato più diffuso tra i modelli – un angolo di campo di 84 gradi.
Corrisponde a ciò che elargisce un 24 mm sul formato Leica.
Epperò i nostri occhi sono assimilabili a quanto vede un 50 mm, sul medesimo formato.
La percezione tende ad essere leggermente superiore (più ampia), poiché è nostro inconscio costume esplorativamente roteare le orbite con una certa frequenza, anche a capo fermo, ma il dato reale s’attesta su quello appena citato.
Che conseguenza ha ciò sul pilotaggio remoto di un drone?
Che varia il rapporto d’ingrandimento, ergo la distanza stimata.
Appurato che raramente – purtroppo – il conduttore di droni si troverà a guardare la scena attraverso un 50 mm (è uno degli obiettivi disponibili sul Dji Inspire 2, e lo zoom dell’omonimo Dji Mavic 2 ci si avvicina nella sua prestazione in tele, con 48 mm), avere obiettivi grandangolari comporta di vedere oggetti più lontani del reale.
Situazione peggiore del suo contrario, perché non permette di valutare adeguatamente la prossimità.
D’altro canto, tuttavia, rappresenta un fattore positivo in relazione alla circostanza di visualizzare più vaste porzioni dell’intorno.
Già, l’intorno.
Incombe, l’intorno.
Lo fa per il rischio che il drone cozzi contro ostacoli.
Questo filmato mostra una situazione alquanto al limite.
Il drone riesce ad attraversare una finestra diroccata, operazione che avrebbe visto un rischio aggiuntivo qualora vi fosse stato vento.
Ma quanto al limite si è svolta la manovra?
E’ d’uopo tornare alle considerazioni precedenti: non solo generalmente il rapporto d’ingrandimento di ciò che vediamo a monitor durante il pilotaggio non corrisponde a quanto potremmo vedere ad occhio nudo (anche se la telemetria mitiga l’inconveniente), ma esiste un ulteriore problema.
L’ulteriore problema è: a parità di focale, non abbiamo modo di sapere quanto spazio il drone occupa nell’inquadratura.
Telegrafico esempio: sia il Dji Mini che il Mavic 3 montano un obiettivo che copre un angolo di campo di 84 gradi.
Eppure, la protusione alare del Mavic è ben maggiore di quella del Mini.
Così, il rischio d’urto è molto maggiore nel primo modello, a parità di conduzione.
In tal senso, tenere visualizzato il mirino centrale, aiuta.
Ci garantisce che il drone sia stato portato nel punto esatto d’equidistanza tra gli ostacoli.
Poi, vi è la faccenda dei sensori d’evitamento d’ostacoli.
Una vera manna, ma se il Vostro intento è peritarVi in spazi davvero esigui essi andranno disattivati, pena inibizione per intervento troppo conservativo.
Intervento che in alcuni droni è modulabile, altresì.
Può infatti succedere che il Vostro drone abbia una tolleranza di default di – poniamo, ma il caso è concreto – di 2 metri, ma vi sia la possibilità di ridurre la distanza a 1 m.
Infine, ricordiamo: se il passaggio stretto ha carattere di tunnel, ben presto il drone si troverà in debito di comunicazione satellitare.
Ciò avvenisse con un drone che non ha sensori superiori, la conclusione sarebbe: il drone perde il segnale, s’eleva per il ritorno alla base, cozza.
Dunque, teniamo sempre presente la molteplicità delle evenienze e la sicurezza dei dintorni.
Nel filmato lo scenario è di una cascina deserta, ma nel caso d’incidente in zona non altrettanto priva di presenze umane, le più gravi conseguenze sarebbero potute occorrere alle persone, piuttosto che al Vostro drone.
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Claudio Trezzani
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