Dolci dilemmi

Vite.

No, non componente di fotocamera.

Parte di vitigno, intendo.

Eppure in una vite (arbusto da cui nascono succoso grappoli) ci può essere un altro tipo di vite (manufatto metallico da avvitare).

Vite vile quest’ultima, si direbbe alliterando.

Perché se in collina la sensazione è quella d’imnergersi nella natura, un sì algido prodotto umano parrebbe alieno dall’atmosfera bucolica.

Da non inquadrare, eddunque.

Come risolvere il problema?

Inquadrandolo lo stesso, ma traslando la prospettiva concettuale.

Non più pensando alla natura, ma ad un grafismo.

A detrimento della poesia?

Vedremo.

Quattro fotografie a corredo di questo brano.

Postproduzionalmente volte in scala di grigi.

Equivale a barare?

Si potrebbe così argomentare in quanto il colore della vite – e della catena ad essa abbinata – é diverso da quello del legno, e non rendere più intellegibile la differenza parebbe esprimere un avvicinamento forzato di elementi estranei.

Ma ora siamo in ambito grafico, ricordate?

Così pensate, queste immagini inducono a valutare lo sviluppo del disegno, che non gradisce cesure.

In tre casi vi è la vite, oltre che gli anelli.

In due casi essa è a fuoco, in uno no.

Perché no?

Perché ove è sfuocata l’interesse è calamitato da un grumo terroso presente sull’anello.

Siamo alla materia asessuata, non c’interessa più se proviene da Madre Terra o dalla mano dell’uomo.

E così il grumo terroso configura una seducente scultorea escrescenza, che nel gioco di linee sorpassa in plasticità la vite e lo stesso anello che lo sorregge.

La catena poi.

Renderla percepibile o no?

Sempre sfuocata nel suo perdersi all’orizzonte, il gioco delle inquadrature rende ora percepibile il suo sviluppo, ora no.

E la quarta fotografia?

Sempre catena, il più vicino anello in primo piano, ma il fuoco va su di un legnetto – sulla sua parte più vicina a chi guarda – che vi è stato manualmente innestato.

Non un botanico innesto, di lapalissiana evidenza.

Non si genererà una reazione, intendo.

Eppure tutta questa commistione – il bianconero nasconde le differenze materiche, le inquadrature rimandano a fusioni ed accostamenti filtrati da personali visioni, la natura non è più protagonista in senso peculiare – non remano contro la poesia.

Perché la poesia è anche nelle cose.

All’obiettivo fotografico basta andare lì e fermarsi riverente.

Un obiettivo può sfuocare, ruotare.

Ogni volta che lo fa gli si spalancano mondi.

Ciò che di volta in volta è a fuoco, reclama la sua pregnante presenza nell’universo.

È ciò che dolcemente sfuma, teneramente ci conduce all’infinito.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534

 

 

 

 

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