Per nutrire dubbi non è necessario trovarsi nella prima scena del terzo atto del noto dramma shakespeariano.
Perchè essi possono anche non essere ontologici.
E tuttavia, non essere secondari.
In fotografia, anzi, catalizzano la mirabile polimorfia delle scelte.
Inquadrature, tonalità, geometrie.
Cervia, transizione tra Erebo ed Emera.
Sì, qui giocano le divinità di notte e giorno.
Staticità infrastrutturali, prime deambulanti presenze.
Attendo la persona si porti ove m’aggrada sia, ma resta il resto.
Sacralità documentaria vuole l’orizzonte in bolla, e tale convintamente mantengo.
Epperò così l’elevato seggio dell’addetto al salvamento non risulta perpendicolare.
E sia: esso poggia su fondo irregolare, non reputo proficuo sacrificare maggiore simmetria ad una istanza subordinata (val più il mare dritto che l’orientamento di un manufatto).
Due coppie di colori complementari, qui.
La vivida, quasi rituale, dicotomia del teal orange in cielo.
Rosso e verde distribuito tra remi, pattino e sdraio.
Ecco perchè la scelta dei colori.
Ma l’uomo reclama.
Reclama perchè vuol essere in scala di grigi, lui.
Nera silouetta, anzi.
Perchè sa di essere il perno della composizione, quando la si vuol pensata in chiave di centrale decentrato dinamismo.
Ed inoltre, la grafia generale degli elementi ne risulta enfatizzata.
Erette sdraio, ora.
Ventidue per parte, più la centrale direttamente adagiata sul palo.
Simmetria, qui.
Un momento, però.
Nella prima soluzione il margine non è eguale nei bordi laterali dell’inquadratura.
Non lo è perchè si è voluto porre al centro il palo.
Nella seconda interpretazione il palo non è più al centro, ma i margini risultano equalizzati.
Cosa preferire?
Va detto che il palo istesso non è perfettamente verticale, così spostando i suggerimenti di pesatura.
Ecco, la fotografia: macerarsi nell’imboccare direzioni.
La via non è univoca, e ciò apporta gioia.
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Claudio Trezzani
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