No, non sto parlando né del letterato (Torquato) né del simpatico mammifero dei Mustelidi.
Il tasso che m’interessa qui ha un che di preoccupante.
Perché tasso è, ma d’alea.
Sapete, noi sulla fotocamera pigiamo un pulsante.
Che muove cose, e il risultato è che ci troviamo – su schermo o negativo – altre cose.
Ma potrebbe farlo anche una macchina, questa roba qui.
Pigiare il pulsante quando non ci siamo, e nessuno controlla.
Oppure pigiare noi, ma senza guardare.
Ecco il tasso d’alea.
Un risultato impreveduto.
Non voluto, e così parrebbe non valere.
E sì, ma bisogna guardarci dentro.
André Kertész a Parigi nel 1929 fece una fotografia – è quella a corredo di questo brano – della città vista dall’alto.
Molto ben composta, ma non più di questo.
Caso volle che abbandonò la lastra.
Che recuperò danneggiata molto tempo dopo.
Danneggiata nel senso che ha un buco.
Bisogna ragionarci su, su questo buco.
E sull’indebito periglio del sovrainterpretare.
Io la prima volta che ho visto questa fotografia ho pensato: eccellente, ha ripreso la scena attraverso un finestrone scheggiato.
E ho pensato male.
Non solo perché nel 1929 abbondavano le finestre scheggiate, ma non i finestroni.
Ce n’erano tanti in guisa di lucernari – cone a Firenze lo Studio Alinari, per rimanere in tema di emulsioni trattate – ma se frontali erano per lo più plurimamente riquadrati.
Niente grattacieli, ed insomma.
E niente buco.
Il buco viene decenni dopo.
E non l’ha fatto André Kertész.
Ad André l’hanno restituita così, la lastra.
E adesso noi possiamo blaterare.
Assurge ad alta valenza simbolica, queste sciocchezze qui.
Ma il merito non è di André Kertész.
Il merito del buco è del tasso di alea.
Ma un tasso di alea, per definizione, non può avere meriti.
Essi postulano volontarietà.
In assenza della quale, meglio esitare a tributare encomi.
E adesso mi viene voglia di scrivere una cosa frusta.
L’importante è il risultato.
Sì, è una cosa frusta.
Ma vera, anche se suscettibile di distinguo.
C’entra niente, André Kertész.
Non l’ha fatto lui, il buco.
Ergo, non è suo il merito.
Poverino, dobbiamo escluderlo dall’esegesi.
E questo ci insegna qualcosa, sull’esegesi.
Non può che fluttuare, l’esegesi.
Non siamo dietro la fotografia, siamo davanti.
E non siamo solo noi, davanti.
E purtroppo, che siamo tutti davanti.
Non basta, essere davanti.
È anche troppo, essere davanti.
Gioverebbe invece, essere avanti.
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Claudio Trezzani
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