Il mio standard operativo, con i droni, consiste nel ricercare luminosità diffusa.
Dunque, giornate completamente nuvolose, oppure riprese effettuate subito prima che il disco solare s’elevi dall’orizzonte.
Che fare allora se si giunge presso il sito di ritrazione quando le summentovate condizioni non ricorrono?
Ed inoltre: come affrontare situazioni in cui la metereologia muta in corso d’opera, oppure nella stessa sequenza ci si trova in ambiti diversamente illuminati?
Questo filmato concerne i suesposti interrogativi.
La prima sequenza già evidenzia il problema: il sole ha vinto la velatura delle nubi proprio negli ultimi attimi in cui il dispositivo si stava avvicinando al castello.
Ho tuttavia utilizzato egualmente la ripresa perché il subitaneo accadimento metereologico ha sortito l’effetto di un progressivo rischiaramento del soggetto, così si è configurato come un involontario espediente stilistico.
Beninteso: senza che si arrivasse alla bruciatura delle alte luci.
Il che mi porta a specificare un altro caposaldo che rappresenta una costante qui:
esposizione sempre manuale ed impostazione personalizzata del bilanciamento del bianco.
Ciò onde evitare indesiderate variazioni dei parametri e conseguentemente degli esiti.
Comunque, ho ripetuto l’avvicinamento altre due volte, per disporre di materiale diversamente impiegabile.
La seconda ritrazione corrisponde alla seconda sequenza qui, caratterizzata da luminosità costante e dall’impiego della scala di grigi per evidenziare la componente architettonica del manufatto.
La terza e quarta sequenza non presentano particolarità, se non la volgarità della dura illuminazione solare nel frattempo intervenuta.
La quinta rivela la seconda declinazione del già citata circostanza di luce che cambia mentre il filmato è realizzato.
Cambia non perché il sole si veli o disveli, ma a cagione del passaggio tra ambienti caratterizzati da diversa illuminazione.
Nel presente caso, il fondo cortile del castello.
In tali frangenti ritengo preferibile non deflettere dalla regolazione manuale dell’esposizione, tendenzialmente regolata in base allo scenario in cui si va, poiché la mente umana tende ad appuntarsi sulla conclusione – a patto che sia breve – di una sequenza.
Affidarsi alla regolazione automatica, invece, comporta un adeguamento sì, ma non graduale.
La sesta e settima sequenza afferiscono sempre ad una variazione ambientale di luminosità, legata però al controluce, ed anche qui si è scelto – con un maggior contrasto commisurato all’entità della variazione – di previlegiare lo scenario finale.
Giova altresì segnalare che in presenza di conglomerati spessi e vasti, la piena ortogonalità frontale non può essere conseguita, stante la barriera al segnale che i muri oppongono rispetto alla comunicazione con il radiocomando, non potendosi pertanto effettuare una orbitazione completa.
Quest’ultimo è un problema inovviabile, mentre i precedenti (tranne quello del pozzo in cortile) possono essere risolti semplicemente tornando nel sito quando le condizioni sono meno sfavorevoli.
Ecco, tornare.
Da limiti – è il titolo di questo articolo – possono derivare opportunità, ma giova considerare che il fine è il linguaggio, non la mediazione succube dell’esistente.
E’ un idealismo che curiosamente si fonde col pragmatismo: far di necessità virtù, ma ricercar quest’ultima al di sopra del compromesso.
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Claudio Trezzani
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