Da complessità, opportunità

È stato detto che il linguaggio non può essere semplice perché è la realtà ad essere complessa. Applicato alla fotografia, la gestione di apparecchiature dotate di funzioni articolate rappresenta una iniziale difficoltà da cui però scaturisce una succosa opportunità. Per esaminare la questione, userò come spiccio apologo l’occasione di un cambio di fotocamera.

Gravido essendo il sensore della mia fida Nikon D600 di stratificate scorie da intenso impiego,  colsi l’occasione di passare al modello D800. Cosa ho guadagnato? Quando sul campo essere messi in operativa condizione di prendere decisioni istantanee fa la differenza tra perdere uno scatto od ottenerlo (o tra ottenerlo malamente oppure realizzarlo propriamente), la ricchezza di funzioni immediatamente attingibili è di prezioso ausilio

Così per esempio appare oltremodo utile disporre di un comando “fisico” in grado di commutare istantaneamente tra esposizione matriciale, pesata al centro, spot. Allo stesso tempo, un significativo aiuto è rappresentato dalla facoltà di intervenire finemente su questi parametri (ad esempio, talvolta cambio il diametro dell’area di valutazione dell’esposizione pesata al centro da 8 a 12 millimetri. Va comunque considerato che anche l’esposizione matriciale contiene nei suoi algoritmi un certo tasso di priorità al centro, così impostata dagli sviluppatori sulla scorta della considerazione che in senso probabilistico avviene più spesso che l’attenzione dell’utente si situi in questa parte del fotogramma. Ecco allora il cardine del ragionamento: due sono i fattori che propiziano l’ottimale gestione di una fotocamera.

Si tratta sia della possibilità di giostrare con rapidità tra le sue funzioni (il che si ottiene con il proliferare di comandi che risparmino all’utilizzatore l’onere di vagare tra impostazioni recondite), che della facoltà di modellare esse con il più ampio raggio d’intervento. Vi è poi una caratteristica che parrebbe – nel confronto tra D600 ed 800 – contraddire la vocazione di quest’ultima ad una maggiore funzionalità operativa: la scomparsa della ghiera dei modi.

Tuttavia, ad un esame meno superficiale, emerge l’assennatezza di questa impostazione, comune anche ai modelli di vertice della concorrente Canon: la presenza stessa di una ghiera comporta la malaugurata possibilità di un azionamento accidentale, che può avere gravi conseguenze allorché si realizza uno scatto convinti di aver selezionato una determinata impostazione, che invece si rivela poi non tale. D’altro canto, l’adozione di un pulsante di blocco sulla ghiera non risolve la situazione: se scongiura l’azionamento accidentale, d’altro canto introduce una azione addizionale che va a detrimento della rapidità. Ecco perché le ammiraglie Nikon e Canon non hanno più la ghiera dei modi.

E ciò introduce un altro importante concetto: le possibilità offerte dalle fotocamere si devono sposare con l’impegno profuso dall’utilizzatore, il che a sua volta genera abilità. Nel caso esaminato: la ghiera a torretta dei modi non c’è più perché il professionista non può permettersi le conseguenze di un azionamento accidentale, ed allo stesso tempo sta a lui raggiungere un grado di confidenza tale con la fotocamera che gli consenta di azionare contemporaneamente con rapidità e sicurezza il pulsante di selezione dei modi e la ghiera incassata deputata alla loro commutazione.

Pensiamo inoltre alla faccenda di pesi ed ingombri: una fotocamera pesante è tale perché è ricca di comandi esterni, ha un maggior numero di anelli a protezione dalle infiltrazioni, un mirino a pentaprisma più luminoso, etc. Questo ci porta alla questione dell’ergonomia: oltre ad essere più correttamente brandeggiabile, al crescere della focale degli obiettivi utilizzati rappresenta un più efficace contrappeso. Ciò considerato, viene spontaneo un paragone con le mirrorless oggi tanto in voga: per modaiolo capriccio, si è persa di vista la razionalità: logica vuole che se si ricerca l’estrema portabilità essa rimane tale solo in abbinamento ad obiettivi corti e leggeri. In questo senso, la declinazione più sensata della serie Alfa di Sony era ed è la versione dotata di ottica 35 mm non amovibile, l’unica che non tradisca parte dei presupposti progettuali.

Già che siamo in ambito di confronto, è utile chiarire un ulteriore aspetto: l’assenza di specchio nelle mirrorless è certamente cosa che produce una serie di vantaggi (non senza qualche controindicazione): la disamina di questi molteplici fattori ci condurrebbe al di là dei fini di questo brano,ma qui occorre almeno precisare che tra i vantaggi dell’assenza di specchio non vi è quella della riduzione delle vibrazioni ai scatto, visto che la salutare assenza del veemente colpo dello specchio (oltretutto evitabile nelle reflex in alcuni frangenti) è nelle mirrorless negativamente controbilanciato dal fatto che in queste ultime l’otturatore meccanico necessità di quattro movimenti per ogni scatto anziché due. In sintesi: l’atteggiamento e l’attitudine mentale che giova ad un fotografo è quello di “gioioso sacrificio”: applicazione indefessa che apporta padronanza dell’attrezzatura, svisceraramento di ogni sua piega, e nessuna esitazione di fronte ad ingombri, pesi, apparenti scomodità iniziali che invece il tempo rivela essere preziosi ausilii.

 

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Claudio Trezzani

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