Consciamente, o no

“Contrai il gastrocnemio ed il soleo, adesso sposta il tuo centro di massa di circa cinque centimetri in avanti e contemporaneamente sposta il piede opposto del doppio di tale distanza”.

Celiava su questo, Norman Colin Dexter.

Il romanziere britannico intendeva dire che – la summentovata raccomandazione descrivendo la fisica/meccanica della camminata – nessun genitore potrebbe in tal guisa indurre infante ad emendarsi dall’andatura gattonata, poichè siffatto suggerimento verbale non verrebbe recepito.

Sì, non è così che succede.

Personalmente, un tempo risolsi bebè a deambulare col mero spalancare le braccia a distanza e sfoggiare uno sguardo confidente.

In quell’occasione, funzionò.

Sapete, nel mio precedente articolo “Il Colore Simbolico” avevo analizzato i presupposti ed i modi che intervengono quando – in due fotografie a corredo di quel brano – si vuole un colore spicchi, s’imponga all’attenzione.

Dal particolare al generale, si potrebbe continuare enucleando: quando differisce per qualità o per implausibilità, per saturazione, per pervasività, per abbinamento, per peculiarità, per associazione, et cetera.

E’ come col bambino che cerca di camminare, ed insomma: i tentativi non attengono a razionale consapevolezza, il che non esclude che a posteriori si possa razionalizzare quanto accaduto.

Razionalizzare, o passionalizzare.

E’ quanto fa Silvano Vita, con genuino afflato e felice esito poetico.

La sua foto non ha colori, giusto un fondo bianconero.

Quella nuvola, certo, colpisce.

Per forma, contrasto, vaporosa veleggiabilità.

Eppoi Silvano scrive: “Vorrei rinchiudere il un cassetto il respiro bianco di quella nuvola, l’aria pura e il vento per poi liberarli a mio piacimento sopra il cielo di casa mia”.

Già, il Respiro Bianco.

Silvano – e tutti noi che rimiriamo l’immagine – prima sente indi esprime.

Con il Respiro Bianco a godere la stessa icastica rifulgenza di sintesi contenuta nella proposizione visuale.

Ecco, la Fotografia: contemplare, risultarne sferzati, traslando rivivere.

 

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Claudio Trezzani

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