Come eravamo, come a Lilliput

Italia, anni sessanta.

Con l’effetto/volano del Piano Marshall, la produzione industriale decolla. Caprotti apre i primi supermercati e gradatamente acquisisce il pacchetto di maggioranza – inizialmente a capitale americano – della società che li gestisce.

Gli italiani cominciano a misurarsi con i consumi di massa, e si affacciano massicciamente al settore dell’acquisto voluttuario. Non siamo ancora alla relativa abbordabilità dell’era odierna – che tuttavia pugnala alla schiena l’acquirente con il dilagante crimine industriale dell’obsolescenza programmata – ma un numero crescente di persone può concedersi svaghi ed agi prima improponibili.

Nella nautica da diporto i materiali sintetici stanno ingaggiando un braccio di ferro con il legno, e spuntano le prime microbarche sul tetto delle utilitarie.

Esistono ancora i cinegiornali, e l’Istituto Luce non ha dismesso il suo tono roboante ed edificante.

Tuttavia, il televisore va diffondendosi.

Non ve ne è ancora un esemplare in ogni casa, e nei centri minori è frequente vedere locali pubblici in cui moltitudini si assiepano per guardare a distanza uno schermo di pochi pollici.

Ecco, le dimensioni del veduto.

Per chi vuole farselo da sè, il veduto in movimento, ci sono le cineprese.

I prezzi non sono ancora popolari, ma nemmeno del tutto proibitivi.

Dal prospetto a corredo di questo brano potete appurare che i listini sono compresi tra le 16.000 e 208.000 lire.

Per avere cosa, è il tema di questo articolo.

Un minimo di contestualizzazione, però.

Il listino è del 1961, e quell’anno si poteva avere nuova e su strada una Fiat 600 D berlina per 672.115 lire. Con una 1100 si stava a cavallo del milione: poco meno per la spartana Export; poco più per l’accessoriata Speciale.

Chi, carosonamente, voleva fare l’americano senza svenarsi poteva rivolgersi alla Ford: una pinnuta – ma minuscola – Nuova Anglia la si poteva avere per 975.000 lire.

Torniamo al prospetto.

Con la cifra più bassa, la versatilità è una chimera.

Per lavorare con compiutezza, occorre sborsare denaro aggiuntivo.

I frame rate sono bassi, la variazione di focale è molto più spesso ottenuta con torrette girevoli che con un’unica unità variabile.

Anche le sensibilità DIN sono contenute, e le generose aperture relative degli obiettivi devono scendere a patti con questo dato.

Del resto, non riescono nemmeno ad assicurare una ridotta profondità di campo.

Perché?

Qui sta il cuore del problema.

Tutte le cineprese qui mostrate venivano caricate a pellicola 8 mm.

Che è di dimensioni lillupuziane.

Vi erano sì alcuni amatori facoltosi che si gingillavano con il 16 mm, ma il grosso del girato non professionale passava attraverso il formato minore.

Giorni fa rileggevo un articolo pubblicato sul periodico specializzato TuttiFotografi in cui l’eccellente Gerardo Bonomo rimembrava di quando con suo padre guardava i filmini in casa.

Mi ricordo anch’io.

Dall’8 mm si era passati al super 8, ma la differenza non era soverchia: semplicemente, i fori a lato del fotogramma erano più piccoli a parità di superficie totale.

Insomma, per il veduto in movimento in quegli anni si viveva come nel libro di Jonathan Swift.

E si era parenti poveri del popolo delle fotocamere.

In quegli anni i servizi di sviluppo fotografico erano ben organizzati.

Con le cineprese, invece, toccava aspettare un mese.

Sì, un mese per aver restituita la bobina in caricatore carenato che conteneva appena tre minuti – quindici metri – di girato muto, e ad un costo – proporzionalmente molto elevato –  totale di circa trentamila lire, tra acquisto della pellicola e tariffa di sviluppo.

In quegli stessi anni il formato fotografico 24 X 36 mm, invece, era largamente diffuso, dopo che l’impiego delle Leica per fotogiornalismo aveva funto da apripista, e qualcuno resisteva con il così appellato medio formato.

Si registrava dunque un notevole divario qualitativo – si noti, a parità di potenziale fruitore – tra produzione di immagini fisse e in movimento.

Scarto che in misura minore sopravviveva in tempi recenti.

Sino all’avvento delle reflex con funzione video.

Ciò ha comportato la generalizzata adozione di sensori/immagine CMOS a discapito dei CCD, che alcuni ancora rimpiangono.

Né vi è da ritenere che l’implementazione della funzione sia approdata a maturità: sopravvivono ancora ingombranti scorie di pionierismo e dilettantismo.

Tuttavia, sappiamo cosa dicono oltreoceano:
no replacement for displacement.

Che si tratti di automobili o dispositivi di ritrazione, le dimensioni contano, eccome.

Una estesa superficie sensibile è prerequisito di qualità.

Goderne in video, è la gioia del nostro tempo.

 

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Claudio Trezzani

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