Qui ci vuole Luca De Bono.
Se gli chiedete come gli scienziati che lavorano al telescopio Hubble acquisiscono e trattano le immagini del firmamento, potrà lungamente diffondersi.
In grossolana sintesi, essi catturano immagini in scala di grigi per limitare la mole dei dati (banda passante), ma sono in grado di ricostruire colori mediante successiva filtrazione.
Il processo dunque non è arbitrario perchè proporzionale, anche se deve fare riferimento alla gamma dello spettro elettromagnetico che siamo in grado di percepire.
Dal cielo alla terra, ora.
Senza scavare, o meglio evidenziando il risultato affiorante di uno scavo.
In un precedente articolo di questa rubrica avevo dichiarato di amare – con le ritrazioni dronuali in prospettiva zenitale – le cave, sia per lo snodarsi di gru in acqua, che per l’aspetto degli accumuli di materiale.
Ecco, accumuli di materiale.
Sono graficamente mossi, e colorati.
Ecco, colorati.
Il drone , come una qualsiasi fotocamera, è in grado di riprodurre le sue tinte, mediante matrice di Bayer sul sensore od altro tipo di lettura/elaborazione.
E non ha i problemi di trattamento propri dei telescopi, situandosi a distanza fisica non esorbitante dal soggetto.
Allo stesso tempo, può esplorare a piacimento i disegni che trova, potendosi elevare e spostare senza limitazioni.
Dunque, da colore a colore.
Al computer, poi, si apre lo scrigno.
Basta enfatizzare contrasto e saturazione, ed eventualmente effettuare leggeri viraggi.
Il risultato è un tesoro, che attendeva solo di essere portato alla luce.
La fotografia a corredo di questo brano non rappresenta che una usuale montagnola di terra in una cava, eppure il pensiero corre a mondi di remota fascinazione.
Pascoli, Leopardi, Rilke amerebbero il drone.
Non dovrebbero più mettere a repentaglio le vertebre cervicali, per contemplare il Mistero.
Lo troverebbero già in terra, la “limpida voce di mondi celesti”.
O, con il Vate, un rutilare d’oro.
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Claudio Trezzani
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