Una traccia extradisciplinare. Succede con il pittore Felice Casorati: l’incisività della sua concezione è tale che una sua massima appare in un lavoro del giallista Gianrico Carofiglio. È quando afferma che “la pittura è sempre astratta”
Traccia extradisciplinare, perché il significato esorbita l’ambito di riferimento. Sapete, Luigi Ghirri asseriva che con la fotografia “si tratta di attivare un processo mentale”. Me ne sono occupato tra l’altro in “Fotografia. La Giocosa Equazione“. Ma più che a Ghirri – la cui cifra stilistica ha avuto per corollario una schiera di epigoni non caratterizzati dalla stessa profondità introspettiva – penso a Franco Fontana.
Lì l’astrazione è potente perché lo è il segno. Prosciugato, depurato. Non è facile in natura trovarsi al cospetto di situazioni così: anche ricorrendo alla sintesi del taglio, difficile imbattersi nella purezza dell’essenzialità. Isolata campagna, neve, acqua. Ecco, quest’ultima.
Piazzateci dentro un elemento scabro, fate ricorso ad una lunga esposizione, ed il gioco è fatto. Ma è davvero compiuto? Il minimalismo non costituisce ipso facto astrazione. Può essere fattore alienante, il che etimologicamente é già significativo (condurre altrove, consideriamola vox media, non emotivamente connotata). Ma percepita in senso ghirriano può non sortire lo stesso effetto evocativo.
Qui però ci stiamo occupando della potenza del segno, fontanianamente. In questa accezione le due fotografie a corredo di questo brano alludono ma non raggiungono. Perché il segno non è del tutto prosciugato. Quella notturna gode di essenzialità, ma la retrostante costa illuminata – pur senza risultare peregrina – in certa misura storna attenzione.
Quella diurna pare beneficiare di maggior pulizia formale, ma vi è sempre uno sfondo che reclama una indesiderata quota d’esame. Inoltre, striature di colore indulgono ad un ritmo secondario non propriamente armonico. Ecco allora che il fotografo che miri all’astrazione dovrebbe retrocedere all’era umana… palafitticola. Dovrebbe cioè portarsi in spalla un tronco cimato e piantarlo in uno specchio d’acqua che non offra distrazioni.
Questa prassi però introdurrebbe un problema: il fotografo”influenza” la scena.
Ciò dischiude un universo di considerazioni, imperniate su di un intervento “preventivo/attivo” del ritrattore.
È cosa che merita ulteriore disamina.
Che non mancherà apparire qui a mio contributo.
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