Bruegel, Michelangelo & la Legge

Pensiamo ad un quadro di Pieter Bruegel il Vecchio. Vi s’agita una umanità brulicante, formicolante, feroce ma con abbaglianti squarci di tesa tenerezza. Poi pensiamo ad un dipinto di Michelangelo.

Vi palpita una umanità di plastica evidenza, di robusto sbalzo, di potente individualità. Il giacimento di inestimabile valore cui questi pittori attingono sono le persone. Ciascuna un tesoro di unicità. Ciascuna dotata di espressività infinita, in quanto sempiternemente cangiante. Ciascuna merita la Cappella Sistina.

Quale opportunità per i fotografi: catturare istantaneamente momenti irripetibili! Ma qui subentra la Legge. Nella notte dei tempi fu la 675/96. Poi per lungo tempo il punto di riferimento fu il Decreto Legislativo 196/2003. Indi si è approdati al Regolamento Europeo 679/2016 recepito dal DL 101/2018), che si inscrive nel più vasto tema del trattamento dei dati personali. L’impianto generale di queste norme è rimasto sostanzialmente immutato. Esso pone il discrimine di liceità non nello scatto ma nella diffusione. Una volta stabilite alcune eccezioni anche allo scatto (installazioni militari et similia) ciò che rimane – a condizione che il soggetto ritratto sia in luogo pubblico – è suscettibile di divieto alla diffusione in relazione al ruolo rivestito dal soggetto e alla sua rilevanza nell’inquadratura (non tratto qui la normativa relativa ai minori, oggetto di tutela specifica).

Qui inizia la zona grigia, ovvero il margine interpretativo concesso al magistrato, in caso di vertenza: la diffusione è consentita nel caso il soggetto rivesta un ruolo pubblico. Ma quanto è estesa questa definizione? Comprende certamente politici e celebrità dello spettacolo, ma quanti altri? Un criterio potrebbe consistere nell’accertamento di pregresse apparizioni nella cronaca, corredate di visuali fattezze, ma la definizione potrebbe anche comprendere ipso facto tutti coloro cui è deputata una funzione pubblica. La rilevanza nell’inquadratura, scrivevo poi. Qui si contrappone il concetto di folla a quello di individualità: se la persona non ha ruolo pubblico, è vietata la diffusione dell’immagine se il soggetto è in primo piano.

Ma quale percentuale dell’inquadratura esso deve occupare perché ne sia sancita la personale riconoscibilità? Il 20%, il 40%?. E a quale ingrandimento va esaminata la fotografia?

Rapido aneddoto al riguardo: una agenzia americana mi rifiutò una fotografia argomentando che l’identità di un pescatore ritratto di spalle mentre rammendava una rete poteva essere desunta dai locali in base all’abbigliamento: tale radicalità si spiega con il fatto che  quella agenzia vende in tutto il mondo, e dunque deve intonarsi alla normativa più restrittiva immaginabile.  La questione si complica considerando due ulteriori aspetti. Il primo: il diritto di cronaca tende a prevalere sul divieto.

Ma da chi può essere esercitato questo diritto? Occorre l’iscrizione all’albo dei giornalisti, in qualità di pubblicisti o professionisti, oppure ci si può riferire ad un generico diritto costituzionale di espressione? Il secondo: fattore di esenzione al divieto è la finalità culturale. Ma, ancora: come essa va determinata? È intrinseca al contenuto della fotografia (ma anche così, la determinazione dei canoni non può che essere evanescente) oppure va rapportata alla tipologia del fotografo?

Mie opere, ad esempio, sono state – obbligatoriamente e a titolo meramente burocratico – registrate presso il Ministero dei Beni Culturali ai soli fini di esportazione quali oggetti d’arte contemporanea (non ha nulla a che vedere con la qualità, è solo un adempimento di Legge), ma mie fotografie che abbiano per soggetto persone potrebbero non avere nulla a che fare con intendimenti e/o esiti artistici. Vi è poi da chiarire un punto: sono vietate fotografie che ledano la dignità umana in rapporto alla situazione ritratta. Qualcuno crede che questo sia l’unico alveo di divieto, ma non è così: trattasi di circostanza aggravante, non di fattore esimente rispetto a ciò che si situa al di fuori di questo ambito. Personalmente, mi attengo rigorosamente ai dettami di Legge: scatto ma non divulgo, laddove non ne ricorrano i presupposti.

A un livello più profondo, però, depreco i residui di furia iconoclasta che talora ravviso nelle pieghe della normativa. Tempo fa riferivo a mezzo missiva di posta  elettronica un un episodio estremo all’allora Provveditore agli Studi della Provincia di Palermo: acutamente egli osservò che questa normativa è pensata per difendere, non per offendere. Del resto, è proprio il  summentovate Regolamento Europeo a sancire nel comma 4 della premessa (nella sezione: “considerando che…”) che questa normativa va intesa al servizio dell’Uomo. Ecco, l’antrophos, l’homo. Benedetta sia quella norma che consente di preservarne ed esaltarne la sublime scintilla, barlume d’infinito.

 

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