Sì, Benedetta Parzialità.
O delle opportunità insite nel non sapere tutto.
Avevamo già accennato in questo spazio a ciò che in letteratura si definisce “suspension of disbelief” (sospensione dell’incredulità).
Il lettore, onde tuffarsi nello scritto con godimento scevro da assilli di plausibilità, sceglie di astrarre dalla dimensione patente ed univoca del reale.
Nel percorso, aggiunge all’immaginazione dell’autore la propria.
Perché il componimento scritto non fa vedere le cose, dunque chi legge può rivestire l’assimilazione del suo vissuto.
In fotografia il procedimento non è lontano.
Chi guarda la riproduzione non sa tutto.
Non era lì, e ciò comporta due cose:
- non possiede il quadro globale della situazione.
- non può avvalersi di percezioni sensoriali altre che la vista.
La fotografia a corredo di questo brano, ora.
Un ciclista irrompe in un museo.
No, non è vero.
Non è vero che è un ciclista?
Be’, la sua condizione può essere considerata assodata per induzione.
Oltre l’abbigliamento, la postura.
Difficilmente assimilabile a bipede deambulazione.
E la faccenda del museo?
Be’, ammetto di essere viziato dal fatto che ero lì.
Direi che la profondità spaziale che si intuisce tra cornici rivela difformità da superficie di contestuale collocazione.
Quadri non appesi a muro, ed insomma, dunque si sospetta spazio esterno e a destinazione estemporanea.
Pittori della domenica in piazza, posso dirlo solo perché presente al luogo e al tempo.
Però sì, il ciclista si avventa, anche se non è vero.
Sì avventa sui quadri, anche se non è vero.
Epperò, lo fa.
Ciò perentoriamente sancisce l’immagine.
Nessun dubbio, su questo.
Li vuole travolgere, i dipinti.
Sì, sta virando, ma la propensione è quella.
Gli piacciono, anche?
Be’, questo è ancora più complicato.
Nell’esercizio dell’attività erotica, il farsi innanzi con determinazione è funzionale all’attività istessa, e non esprime volontà avversa.
Sì pone però un problema.
Esso risiede nella rutilanza cromatica.
Dell’esemplare umano ritratto, non degli olii incorniciati.
Una conclamata chiassosità.
Qui si va verso categorie aprioristiche e equivalenze paramatematiche.
I quadri esprimono arte, ergo elevatezza.
L’abbigliamento è caratterizzato da eccessiva vividezza, ergo è volgare.
Il proprietario dell’abbigliamento, avendolo scelto, è volgare egli stesso.
Ergo, non è degno di travolgere cose elevate, anche se spinto da desiderio.
I quadri, però, sono opere di pittori della domenica, che si suppone meno consapevoli dei colleghi professionisti.
Hanno studiato e si sono applicati di meno, si argomenta.
Così non hanno avuto modo di affinare adeguamente il gusto, ovvero il discernimento in relazione ad uno specifico ambito applicativo.
Le loro opere sono allora volgari, ed in questa qualità non dissimili dal ciclista cromaticamente chiassoso.
Amplesso consumato, ordunque?
Siamo tuttavia sicuri che l’abbigliamento del ciclista è volgare?
La vividezza risponde ad esigenza funzionale.
Farsi vedere bene per non essere investito da ponderosi mezzi semoventi.
Una scelta estetica difforme andrebbe a detrimento dell’incolumità.
Il fazzoletto attorno al collo, poi.
Si intravede tensione verso armonia.
Stessi colori della giubba, più un verde.
Rappresentato il ventaglio dei primari.
Il modo in cui è annodato, giova alla causa di storno dalla volgarità.
Sinuosa plasticità versus evitata secchezza.
Il possessore dell’abbigliamento tecnico ha palesato un afflato.
Quello di attorniarlo con particolari indumentali non sottoposti all’esclusivo vaglio della destinazione operativa,che tuttavia esprimessero una dialogicità congruente.
Se si salva dall’accusa di volgarità può sposare i quadri, benché anch’essi non vadano esenti da esame in proposito.
E se l’esame da questi ultimi non viene superato, l’accoppiamento può avvenire per contrasto.
Siamo stati in bilico tra la metafora e l’apologo, sin qui.
Ci è servito ad evidenziare un concetto.
Che non sapere tutto, scatena.
Una fremente ridda di spinte, scatena.
Siamo di nuovo alle caverne platoniane.
La fotografia fissa ed elude.
Si sprigiona una fragorosa potenza, da qui.
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Claudio Trezzani
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