Ambiguità e polisemanticità

In campagna, pannelli solari in visione aerea zenitale.

Prima ancora di addentrarci nella foresta che rappresentano, facciamoli graficamente dialogare con il canale acqueo che scorre a lato, traendo un beneficio collaterale dalla policromia presente. Tra la foto che a questo si riferisce e l’altra qui presentata intercorre un mondo di possibilità.

Per amor di sintesi non ho qui riportato le ulteriori esplorazioni che ho effettuato, ma telegraficamente le sunteggio: giostrando con altitudini ed inquadrature, si attinge a diverse letture e si apportano risposte – non soluzioni – a problemi.

Per esempio: l’inclinazione progressiva dei pannelli nella latitudine dell’inquadratura assegna intrinsecamente maggior peso a quelli collocati ad ovest.

Come rispondere a tale peculiarità, che interferisce nella regolarità del disegno?

Non certo rinnegandola, ma esaminando possibilità letteralmente collaterali.

Ciò a dire: assegnamo un bordo pratile più ampio nel margine sinistro dell’inquadratura rispetto a quello destro, onde sottolineare il maggior spessore endogeno dei pannelli a sinistra?

Ed in alternativa: è proprio necessario avere questo bordo, oppure è più proficuo iniziare l’inquadratura sui pannelli stessi?

E se manteniamo i bordi pratili, ci è utile o no elidere all’estremità destra (di spessore decrescente da destra a sinistra) una sottile ombra che in tal caso esprimerebbe il bordo del bordo?

Ancora: prerequisiti dell’impostazione prescelta sono la verticalità delle file e la rettangolarità dell’inquadratura, che risponde alla vettorialità determinata dall’inclinazione dei pannelli. Ma se abdichiamo a queste scelte, ogni ulteriore intervento va riparametrato ad un nuovo sistema di pesi e relazioni. Esaminando invece i bordi superiore ed inferiore dell’inquadratura si rileva che le barre laterali dei pannelli non offrono mai una perfetto parallelismo con essi.

Come trattare questa disomogeneità?

Ovvero: dove far cadere l’inizio del tratto, considerando che esso non coincide mai tra le file, e la situazione si ripresenta, differente e non speculare, nel bordo opposto?

La scelta delle altitudini di ripresa rende evidente un fattore di altro sapore: se a distanza ampia o ravvicinata l’intellegibilità della trama rimanda alla funzione (si capisce che sono pannelli solari), a distanza intermedia si profila l’equivoco – che il fotografo può cavalcare calibrando di fino le cromie – circa una parvenza di manufatto edile (facciata erbosa con finestre). Sia questa una netta individuazione o solo una embrionale suggestione, il dato che ne emerge è quello di un fraintendimento frontale di ciò che nella realtà documentaria è una visione zenitale.

Siamo così addivenuti a ciò che definivo una “virtuoso equivoco” durante il convegno presso il Teatro Duse di Cortemaggiore, spiegando a Karl Evver – non potevo desiderare miglior intervistatore: una rivestimento tricologico di eccezionale nativa neritudine in relazione all’anagrafe fa da cortina a meningi di inusitata affilatezza – che nei casi in cui sia possibile inseguire – con l’interazione tra luogo e mezzi offerti al fotografo – astrattezza si determina una situazione nella quale l’ambiguità diviene polisemanticità, per come si offre maggior libertà a chi guarda di sviluppare le percezioni individuali.

L’astrazione, insomma, conferisce maggior margine immaginativo al fruitore della fotografia, acuendone il ruolo.

All rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Alert: Contenuto protetto!