Trabucchi. Vanno progressivamente sparendo, e ciò m’induce fissarne la presenza.
Non lascio mai, purtuttavia, che l’istanza documentaria travalichi l’atto estetico del fotografare, ponendo anzi la prima in subordine al secondo.
E nella perenne ricerca d’astrazione, compio passi verso l’isolazione.
Che perseguo traverso mezzi inquadratori, ambientali e tecnici. Nella teoria di trabucchi allineati individuo quello che previlegierò, perché situato all’estremità e dunque predisposto ad un dialogo univoco con l’acqua.
Indi mi avvalgo del momento e dell’utensile: l’alba ed un filtro a densità neutra di spessa efficacia.
Ecco allora che il manufatto oniricamente fluttua in un contorno atto a sottolineare la centralità semantica del soggetto, poiché di neutra evanescenza. Ma altri trabucchi chiamano attenzione.
Ognuno peculiare per grafismi, colori, rapporto tra forma e funzione. Ma non qui è la conclusione: il gioioso assalto richiede proteiformità d’intervento.
Come già osservai, una sessione fotografica non è soverchiamente dissimile da una spedizione militare: pianificazione, logistica, diversificazione. E dunque ecco l’affiancamento di filmati alle fotografie, e ad un certo punto viene approntato il drone. Volerà, individuerà, trarrà immagini fisse ed in movimento.
Ma un tassello ancora manca: occorrerà approdare ai singoli luoghi.
Ciò presupporrà il gonfiaggio della mia canoa gonfiabile, estratta da bagagliaio di automobile, che verrà caricata di una valigetta a tenuta stagna. Indi contatti con i locali, onde ottenere permesso di solcare le lignee terrazze. Insomma, ruota un mondo attorno ciò. Un mondo di passione al servizio della palpitante unicità di ogni cosa.
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