In un’epoca nella quale la funzione Street View di Google Earth si incarica di mostrarci la “realtà stradale” da ogni angolazione, verrebbe da osservare che l’unico ambito in cui ritagliarsi una porzione di individualità ritrattoria sia quella della ricognizione aerea frontale, ovvero portarci più in alto per non occuparci di luoghi già censiti.
Fortunatamente non è così, tuttavia reputo giovevole soffermarci su questo concetto di ricognizione.
L’etimologia rimanda al verbo latino re-cognosco. In accezione ciceroniana, conosco di nuovo.
È la chiave della fotografia: ogni volta operare una personale lettura che trascenda la letteralità.
Se in modalità video l’esplorazione aerea con un drone può facilmente – se realizzata con movimenti incongrui di macchina – scadere in una attività ricognitoria – qui il lemma è impiegato in valenza meramente militare – ove l’istanza documentaria travalica e svillaneggia l’esito linguistico, nel caso di singole immagini più agevolmente si esplica il potenziale espressivo.
Tra le due fotografie a corredo di questo brano, in particolar modo quella in bianconero sembra indulgere all’istanza georivelatrice (far rendere ragione di dove si è attraverso la visione comparata sopraelevata di spazi inintellegibili da terra), ma l’evidenza di una funzionalità pratica non corrisponde all’intento complessivo, lungi dall’esaurirsi in un utilitarismo operativo.
Si tratta invece di cogliere l’opportunità di visuali inedite per sovrapporre ad esse gli stessi canoni e percezioni che ognuno reca in sé allorquando si accinge all’operazione fotografica in ambito terrestre.
Ecco così salvato dalle insidie dell’indistinto il concetto di interpretazione, apparentemente minato dall’impersonale profluvio di immagini originate da finalità tecniche.
E quanto alla visione satellitare/zenitale sussiste lo stesso rischio? Sarà oggetto del prossimo articolo.
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