Adil Ladjlet & il Covone Umano

Ricordo bambino una visita scolastica ad un allevamento di suini. Uno tra i neonati non ce l’aveva fatta, e giaceva inerte in un angolo della stalla.

Un drammatico impatto con il concetto di reificazione.

Vi era vita, e subito dopo non più.

Da palpitante singolarità, ad oggetto in rapida degradazione.

Esiste però un percorso parallelo ma assai differente.

Adil Ladjlet e il Covone Umano.

L’umano simula l’inanimato, plasmandolo.

Vi insuffla novella linfa, poiché il sembiante non è frutto di indifferente casualità, bensì di intenzionale espressione.

Sapete, i covoni già come agricoltura ci consegna costituiscono seducente materiale.

Non sono molti coloro tra noi fotografi che non si sono mai aggirati all’interno di un campo coltivato, non abbiano esperimentato molteplici inquadrature con diverse focali, magari facendo dialogare l’oggetto – ai nostri occhi divenuto una intrigante scultura moderna – con nuvole o dolci declivi.

Adil Ladjlet è andato oltre, per nostra rimirante fortuna.

Uomo Covone è mia definizione che non esaurisce la proiezione.

Il soggetto autodrappeggiato protende lo sguardo nella direzione suggerita dai rami che lo sovrastano, perentorei aculei nella loro scheletrica condizione.

Il sudario – sì, in grande a destra è ravvisabile un viso – che l’avvolge è in sé bastevole, maestosa cattedrale di volumi, piani, curve.

Ma il sontuoso complesso si fonde con ciò che l’attornia e l’innerva.

Una reificazione autocosciente, questa qui.

Alle spalle del mantello, il passato; oltre l’estremo lembo nel prato, il futuro.

πάντα ῥεῖ, tutto scorre.

Ma il segno tracciato e solcato, rimane.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534

 

 

 

 

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