In “Un differente animale” accennavo alla proteiformità dei droni laddove consentono di cambiare mondo – ambito espressivo – semplicemente applicando una breve pressione sul joystick deputato all’avanzamento.
Un attimo prima viene disegnato un ampio paesaggio, un attimo dopo il dispositivo coglie particolari non diversamente attingibili.
Ciò avviene quando il preciso punto di ritrazione non è raggiungibile in altro modo.
Ecco, “raggiungibile”.
Niente sostituisce l’opera del provetto scalatore.
Solo lui – lei – può abbracciare il petroso e/o innevato picco, assurgere – letteralmente come metaforicamente – ad intensa intimità con esso.
Qui, tuttavia, ci occupiamo di fotografia e videografia.
Ed allora: anche da terra si può “stringere” su di una vetta cambiando lente.
Dopo aver compreso una catena montuosa – intendo – è possibile effettuare un “primo piano” di una singola cima montando un potente teleobiettivo.
Il drone può far di più.
A parità di focale lui è in grado d’avvicinarsi.
E’ proprio lì, lui.
Vicino, ove la prossimità si concreta traverso fisica vicinanza che mercè l’ampio angolo di campo – giocoforzata condizione dei più diffusi modelli – palesa la posizione senza abdicare a contestualizzazione.
Lui è lì con minore astrazione, se – diversamente – è astrazione tagliare l’inquadratura aumentando il fattore d’ingrandimento.
Lui è lì come un volatile, eddunque.
Non ricorre a protesi oculari, assumendo che il suo visus sia dotazione endogena piuttosto che applicazione di un sistema ottico inorganico.
Ciò introduce una dimensione parareligiosa.
Non per niente l’essere umano suole erigere croci violando il difficilmente violabile.
Certo, con il drone manca la virtuosa epica di fatica e periglio.
Ma l’intimità con le vette – diretta o mediata che sia – conduce alla dimensione del sacro.
Sia il monte Uluru in Australia o l’Ol Doynio Lengai in Tanzania, le rarefatte altitudini recano fragranza dell’infinito e dell’assoluto, nella diffusa percezione di chi ne è fatto partecipe.
Ecco, fatto partecipe.
E’ un ponte, il drone, in siffatta guisa.
John Ruskin diceva le che le montagne sono le cattedrali della terra.
Ed era anche pittore, lui, oltre che poeta.
Il drone è ponte quando salda visione ed acquisizione, azione ed illusione di possesso, anelito e benedizione.
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Claudio Trezzani
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