Nel precedente articolo in questa rubrica titolato “Linee e movimenti” osservavo come certe “esattezze” e coincidenze formali in una fotografia possano suggerire una preordinazione, sebbene siano frutto del caso, o di un determinato coefficiente d’esso.
Stando così le cose, lo stupore per quanto vi sia un apparente concorso orchestrativo laddove nessuna forza ha effettivamente congiurato in tal senso è direttamente proporzionale al numero delle variabili in gioco:
più esse sono numerose, minore è la teorica probabilità che l’effetto sia raggiunto.
Nei casi colà rappresentati si trattava di filmati, dunque la variabile aggiuntiva era costituita dal movimento.
Già, si fa presto a dire “movimento”.
André Adolphe Eugène Disdéri, 1854.
Sì, colui che ricavava da un’unica lastra – traverso impiego multiplo di obiettivi – 8 fotogrammi appaiati.
Piccoli, economici, un contributo alla diffusione della Fotografia.
Ma non è questo a contare, qui.
Perchè sì, si fa presto a dire “movimento”.
Lo scacchiere di Eugène ricorda una striscia cinematografica, ma non lo è.
Quale la differenza?
Una, ma decisiva, sì da tracciare uno spartiacque, epitome del crinale che divide fotografia e videografia:
in fotografia le scelte sono differite.
Oh, non possiamo essere drastici: se è vero che la ritrazione consecutiva propria di un filmato rappresenta un fattore ineludibile – in certa misura, limitante – la “non-libertà” del fotografo risiede invece dal fatto che egli trae obbligatoriamente dal reale.
Anche così, si potrebbe obiettare che il raggio espressivo del videografo è riguadagnato con la sceneggiatura, e per converso il fotografo amplia la sua autonomia ipso facto scegliendo, ovvero escludendo.
Scegliendo, cosa?
E’ interessante la soluzione – proteiforme – adottata da Eugène poichè essa si salda con istanze diverse e peculiari, nel suo caso: utilitarismo; opportunità conferite dall’immediatezza.
Cosa fa Eugène di queste armi?
Il suo uomo cinque volte legge e tre volte con cilindro eretto posa.
Le differenze all’interno della stessa tipologia afferiscono unicamente all’angolo di campo.
Così, si hanno più inquadrature a parità di tipologia e d’istante.
Ecco, d’istante.
Sì è catturato un frammento emotivo, e lo si è potuto declinare multiplamente.
Ma si è scelto d’insistere sulla lettura, piuttosto che sulla statica rappresentazione in indumentale gloria.
Maggior peso voluto, volontaria veicolazione d’intento speculativo, oppure mera contingenza committuale?
La donna, ora.
Diversamente guarda, diversamente s’atteggia, ma legge una volta sola.
Temo fortemente sia pedaggio che l’epoca imponeva.
Purtuttavia – e al di là del rilevato scandaglio psicosociale – ciò che emerge da questa telegrafica disanima è che il tempo è parte che s’insinua in entrambe i mondi, quello delle immagini fisse od in consecutiva successione.
E che anche il tempo è movimento.
Scegliere, è movimento.
I modi del trarre prelevando da un mazzo originatosi con le apparecchiature d’Eugène indica quanto dinamismo opera nelle scelte differite che il fotografo ha a disposizione.
Quanto il tempo sia lì, là, ed in altro metaforico luogo ancora.
Quanto incidere sulla realtà tramite ritrazione sia fenomeno soggetto ad una pletora di spinte dilatative, ove concetti come “tempo” e “movimento” giocano cangianti ruoli al servizio di esiti complessi.
Ecco, la Fotografia: fermare e ruotare senza incorrere in contraddizione.
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Claudio Trezzani
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