© Roberto Besana
Per scrivere À la recherche du temps perdu Marcel Proust si chiudeva in una stanza le cui pareti aveva fatto foderare di sughero: voleva evitare che il rumore del tempo presente interferisse con il desiderio di recuperare la memoria del passato.
Similmente, un pittore, dopo aver fatto un notevole bottino di ricordi visivi, può produrre le sue immagini nel suo atelier, attingendo alla propria memoria.
Anche Jan Saudek, il noto fotografo ebreo polacco, per realizzare le sue affascinanti fotografie – sono, per lo più immagini in bianco e nero colorate a mano – si chiude nella cantina che l’ha salvato dalla persecuzione nazista. Ma allora è costretto a far entrare la realtà, gli oggetti e i personaggi che vuole ritrarre, nello spazio in cui si è isolato.
Perché – ed è questa la rivoluzionaria eziologia dell’immagine ottica – la Fotografia sa documentare solo quanto si trova davanti all’obiettivo dell’apparecchio fotografico: per la prima volta nella storia delle immagini, è il soggetto scelto da chi fotografa a autoritrarsi.
Quello cui, con questa rivoluzionaria tecnica iconica, si è costretti a rinunciare è la produzione di immagini che rappresentano il passato e il futuro (anche se, ma è una particolare eccezione dovuta ai limiti della velocità della luce e alla vastità dell’Universo, una fotografia astronomica prelevata adesso documenta la realtà di un lontano passato).
Roberto Besana è un fotografo che conosce molto bene le enormi possibilità e i limiti dell’icona ottica. È anche un grande camminatore, e da un po’ di tempo mi ha chiesto di scrivere delle “didascalie” per le sue immagini prelevate durante le sue lunghe passeggiate: sono riflessioni che mettiamo a disposizione di voi lettori.
Mi propone sempre delle immagini formalmente belle, eleganti; ma quello che mi affascina maggiormente sono i pensieri che quelle mi suggeriscono e il tentativo di intuire i pensieri che l’hanno indotto a prelevarle.
Ho scritto la parola didascalie fra virgolette perché quelle, in realtà, dovrebbe scriverle chi fotografa: io non spiego niente, condivido i pensieri e le emozioni che l’immagine ha suscitato. E il suggerimento principale di questa immagine, per me, è che l’uomo, dopo avere trasformato lo spazio in qualcosa che di naturale ha solo un vago ricordo, cerca di nascondere quel vilipendio dietro a una falsa, idilliaca, immagine manuale.
Nello Rossi
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