Scritto per e pubblicato su Witness Journal
“Come spesso accade, il male parte da una menzogna che nasconde o distorce la verità. Il termine “mina antiuomo” contiene questa bugia.
Sembra anonimo, perché noi non siamo individuabili.
L’uomo è una categoria generale, anonima, alla quale nessuno appartiene veramente, alla quale non vengono dati nomi specifici.
Anche il termine soldato è anonimo, ma è più individualizzato.
Ci si può innamorare di un soldato.
Oppure si può piangere la morte di un soldato.
Non è lo stesso con l’uomo.
È semplicemente un termine statistico; è l’antitesi dell’individuo.
Non implica né sangue, né arti rotti, né dolore, né amputazioni”.
John Berger
Il bollettino di una guerra che non è ancora finita non può che continuare a salire, soprattutto quando il nemico è invisibile, sempre sveglio e non aspetta altro che un passo per poter sprigionare la sua forza. Le mine antiuomo sono state bandite da 20 anni con il Trattato di Ottawa, ma sono ancora tante, troppe, quelle nascoste sotto una zolla di terra in diverse parti del mondo. Ancora oggi ci sono paesi che non hanno firmato il trattato come Stati Uniti, Cina e Israele.
La Colombia sta uscendo da una guerra civile durata 60 anni tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, meglio conosciute come FARC, e l’esercito nazionale della Colombia. Un conflitto che ha lasciato ferite profonde che impiegheranno anni prima di essere dimenticate. Una di queste sono le migliaia di mine inesplose ancora in attesa della loro vittima.
I bollettini mostrano una conta anonima di chi non ce l’hanno fatta, del numero di persone a cui la mina ha tolto la vita. Nel suo reportage fotografico William Fernando Aparicio Camacho non nasconde la violenza disumana che provocano, ma si concentra sulla forza di chi riesce a rialzarsi, a guarire le proprie ferite e trovare una nuova spinta per vivere.
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