Come è cominciata
Sono orfani. Orfani morti di parenti vivi che li hanno abbandonati.
La prima volta che ho notato questa umanità derelitta è stata quando ho trovato, accanto a un cassonetto dell’immondizia, la foto di un tale coi baffi. Una foto piuttosto grande, di quelle che si incorniciano e si appendono in camera da letto o in salotto. Osservandola, ho scoperto che quel signore baffuto era andato fino a Parigi per farsi ritrarre, che era il 1922 e che egli aveva all’incirca 25 anni (buffi i tempi: oggi nessuno si riferirebbe a un ragazzo di 25 anni chiamandolo “signore”, ma la foto parla chiaro, questo coi baffi è un uomo fatto, non un ragazzo). Ho tenuto la foto in soggiorno per molto tempo, su uno scaffale alto della libreria, come se fosse stata quella di un nonno, finché non ho cambiato casa. Ora l’ho conservata, ma so bene dov’è, non l’ho abbandonata, anzi, non è escluso che prima o poi non l’appenda da qualche parte, dando il via così ad una galleria di antenati non miei.
Da quella prima, sono molte le fotografie che ho recuperato sui banchetti dei robivecchi, con bambini, donne, uomini fermati in un istante di vita lontana. Io li ho fatti riscaldare al fuoco del mio interesse, li ho solleticati con una nuova curiosità, ho provato a capirli, a ricordarli immaginandone la vita e inventando per loro vite diverse. Insomma: li ho adottati tutti.
Qui la serie completa.
S’era svegliato alle 5
S’era svegliato alle 5, anche se era domenica. Il prevosto era stato chiaro: “Vi voglio qui alle 7 e mezza, tutti! Prima la messa e poi il fotografo”.
Non che gli abiti non fossero tutti pronti e puliti… quelli, anzi, erano già belli e stirati sulla sedia, sin dal pomeriggio, e aveva sistemato il fazzoletto nel taschino e la spilletta al bavero della giacca… No, il fatto è che ci teneva proprio a quella fotografia insieme agli altri della banda, perché erano tutti amici, perché veniva il fotografo della piazza e, soprattutto, perché suonare era da sempre il suo sogno: farlo per davvero, dico, come quel Sormani che se n’era andato a Milano e poi a Buenos Aires.
Gliene aveva parlato il babbo… E chi lo conosceva, chi se lo ricordava più, Pietro Sormani, a Mede? Solo il babbo ne parlava ancora, ché era un appassionato vero: suonava sì la fisarmonica in osteria, ma la musica la sapeva eccome e sapeva a memoria tutte le opere… era stato il babbo ad insegnargli a suonare, a fargli venire la passione pure a lui…
Così, per l’emozione, aveva faticato a prender sonno ed era già sveglio prima del primo canto del gallo. Era venuto bene, in fotografia, lindo e pinto, un figurino. Solo, unico cruccio, le scarpe. Le aveva pulite alla perfezione, con olio di gomito e cromatina, e quando era uscito di casa brillavano come se fossero nuove. Niente da fare, dannate strade sterrate! Guardale lì le scarpe: tutte impolverate!
RIFERIMENTI – Questa foto è arrivata incollata su un largo passepartout color antracite. Sul retro, la parola “argentone” lascia immaginare la cornice con la quale, per chissà quanti anni, è stata esposta in bellavista, su un comò o su una scrivania o magari appesa al muro di un qualche corridoio. Il timbro (Premiata Fotografia G. Degli Esposti – Mede – Via Roma 5 – Mede) svela il paese in cui è stata scattata: vi nacque Pietro Sormani, violinista alla Scala e direttore d’orchestra. Quando nel luglio del 2009 l’amministrazione comunale fu contattata dal corpo musicale di Binzago, per farla partecipe della consegna del manoscritto di un’opera del maestro, in Comune caddero dalle nuvole. La memoria è cosa labile…
Progetto grafico e realizzazione eBook: espressionidigitali
Testi e audioracconti: Giuliana Battipede
Fotografia dell’autrice: Cristiano Vassalli
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