South, oil and magic

Fotografie di Emanuele Gaudioso

A cura di Cristiano Capuano

Scritto per e pubblicato su Witness Journal

 

Viggiano, Basilicata. La più grande piattaforma di estrazione petrolifera d’Europa si estende per oltre millequattrocento chilometri quadrati, ai piedi del Sacro Monte e del santuario della Madonna Nera; nera come “l’oro” che scorre e ribolle nel sottosuolo della Val d’Agri

 

© Emanuele Gaudioso

 

Qui viene estratto l’80% del petrolio italiano, che ammonta a circa il 10% del fabbisogno energetico del paese. Eni, Geogastock, Shell e Total sono alcune delle compagnie petrolifere che investono in progetti di sviluppo in una delle regioni più povere d’Italia, estraendo migliaia di barili al giorno.

C’è chi ha parlato di “Texas italiano”, di “Basilicata Saudita”, ma la Val d’Agri pare piuttosto presentare similitudini col Venezuela degli ultimi anni, rispecchiandosi nei concreti rischi di un’economia a trazione unidirezionale altrimenti condannata ad una prospettiva di ristagno.

La storia delle estrazioni energetiche in questi territori del Mezzogiorno non ha, però, origini recenti. Il regio decreto 1443 del 29 luglio 1927, che aprì la strada alla “ricerca e coltivazione delle miniere”, rappresenta la prima pietra del massiccio sviluppo dell’industria estrattiva di idrocarburi, la quale sarebbe poi esplosa negli anni Novanta, fino ad arrivare ai recenti sviluppi della legge Sblocca Italia, artefice di un ulteriormente indebolimento del potere decisionale degli enti locali.

Le attività degli stabilimenti del Centro Oli fanno di Viggiano una delle località estrattive più ricche d’Europa, ma i sindacalisti locali sostengono che solo un’irrisoria percentuale degli oltre 11 miliardi di royalties versati dall’Eni nelle casse comunali nel quindicennio 1998-2013 sia stata investita in progetti di nuova occupazione per la popolazione locale.

Ed è proprio sulla popolazione e sulle attività tradizionali che l’impatto dell’industria petrolifera si presenta più gravoso. Oltre ai disagi ecologici causati dalle trivellazioni, primo su tutti l’inquinamento del lago del Pertusillo tra i comuni di Spinoso, Montemurro e Grumento Nova, sono anche i numeri sull’impiego della popolazione locale ad essere impietosi. La Val d’Agri trabocca, infatti, di tecnici stranieri e manodopera proveniente da altre zone del paese, mentre alla gente del posto tocca accontentarsi di contratti a tempo determinato per attività a basso reddito e poco qualificate (manutenzione, servizi di vigilanza).

Ma più di tutto, in questi contentini assistenzialisti si rifrange l’immagine di un popolo soggetto ai rischi di una drastica mutazione identitaria. Le raffinerie si stagliano nel cielo della Val d’Agri come cattedrali nel deserto, miraggi industriali bramati da una popolazione afflitta dal tramonto di attività tradizionali legate all’agricoltura e all’artigianato.

 

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