Per favore non ditelo ai servizi segreti britannici.
E lasciate pure stare Echelon, lo spionaggio globale, quelle robe lì.
Converrete: in terra d’Albione sono così fieri del loro capillare sistema CCTV che non tollererebbero di avere a fuoco un sospetto sì ed uno no.
Eppure in Fotografia è ciò che accade tutto il tempo, a meno che non disponiate di un sensore lillipuziano con su montato un obiettivo ultragrandangolare.
Benvenuti nel mondo della messa a fuoco selettiva, e non solo.
Non solo, perché la possibilità di avere nitida solo una porzione dell’inquadratura è solo il punto di partenza.
Ciò che sappiamo è che questa caratteristica consente di conferire all’immagine un maggior senso di tridimensionalità, e di concentrare l’attenzione di chi guarda sul soggetto/oggetto prescelto.
Tuttavia, la fotografia a corredo di questo brano fornisce lo spunto per riflessioni più articolate.
Abbiamo qui lo scorcio di una barca in acqua.
Sulla coperta del natante è adagiato un laminato, ed esso si riflette abbondantemente nel liquido elemento.
È questo riflesso – non la parte “positiva”, quella che avremmo supposto “generare” l’immagine – che si impone allo sguardo.
Sortisce questo esito per una concomitanza di fattori:
- la posizione predominante nell’inquadratura.
- l’andamento curvilineo del suo sviluppo.
- la luminosità che possiede.
- il combinato effetto di fluttuazione in acqua e di segmentazione orizzontale, che contrappunta e riesce a sovrastare il motivo grafico del laminato “originale”.
Come riflesso, esso dovrebbe tendere ad un effetto di sfuocatura – di relativa indeterminazione – rispetto al resto.
Eppure, guardate bene – se v’aggrada – il bordo di esso.
Noterete che in realtà è proprio il riflesso a risultare maggiormente nitido, nella parte inferiore del fotogramma, mentre il “positivo” – la parte non specchiata – lo è solo in corrispondenza del limitare superiore.
Siamo al cospetto di un approccio di matrice escheriana, nell’intenzionale gioco tra parti e orientamenti mentali da attribuire loro.
Più ancora di ciò, l’immagine perde ben presto la sua istanza documentaria, per imporsi in chiave astratta.
Non si pensa più ad una barca, bensì ad un pesato dialogo tra elementi, cromie, grafismi, coll’acqua a determinare una diversa consistenza “tattile” che pone un discrimine tra superfici.
Sì, è proprio un tuffarsi, sbarazzandosi con gioiosa spensieratezza della primigenia espressione funzionale.
La tecnica fotografica consente dunque di ribaltare fattori, di abbandonare l’espressione fattuale per addivenire ad una impressione che scaglia la percezione oltre i confini del plausibile.
Ciò che nasce come limite ottico – in contrapposizione alla sopraffina capacità di compensazione dell’occhio umano non mediato da dispositivi – disvela un suggestivo altrove di libertà.
All rights reserved
Claudio Trezzani
https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534
Lascia un commento