“Il Silenzio, un potente strumento di comunicazione”
Questa cosa, bellissima, devo averla letta da qualche parte e non mi ha più lasciato. Quando ho progettato di scrivere del silenzio, mi sono reso subito conto che sarebbe stata un’impresa titanica riuscirci negli spazi di un blog fotografico. Velocemente: il silenzio in letteratura, il silenzio dei grandi pittori, il silenzio in musica.
Sì, avete letto bene, il silenzio esiste anche in musica- L’ho incontrato in un gustosissimo episodio titolato <le vacanze intelligenti> di un film del 1978, di e con Alberto Sordi, fruttivendolo romano di nome Remo, e di sua moglie Augusta detta <la buzzicona>. I figli della coppia hanno meticolosamente organizzato per loro delle <vacanze intelligenti>. La coppia siede in una sala austera dove è in corso un concerto di musica colta. D’improvviso la musica si arresta e la sora Augusta conclude felicissima che il concerto è finito. No, non è così! I musicisti hanno smesso di suonare per alcuni minuti perché stanno eseguendo il “TACET”, un pezzo classico in cui l’Orchestra si arresta per qualche minuto per poi ripartire con forza dopo questa brevissima incursione nel silenzio.
Ho voluto ricordare qui, in semplicità, che il “TACET” in musica sottolinea che il silenzio, come scrivo nel titolo, è un formidabile mezzo di comunicazione.
Ritorno di corsa alla fotografia e racconto come, in tutto il mio percorso di formatore (o presunto tale), io ho sempre rotto i cabasisi sostenendo petulantemente che, nel percorso di maturazione di un fotografo, l’impegnarsi con tenacia e metodo ad un <tema> (od anche a soli due/tre), piuttosto che a sparare a raffica alle nuvole, sia un prodigioso strumento di formazione. E dopo avere rivisitato questa mia consolidata convinzione ho concluso che io, per primo, avrei dovuto adeguarmi.
E quindi mi sono assegnato un tema. Ho scelto “Il Silenzio” perché volevo sfidarmi con una prova difficile. ** Il silenzio non lo si sente, altrimenti che silenzio sarebbe? ** Il silenzio non lo si vede, né di notte né di giorno. ** E non lo si può toccare. ** E poi, dove avrei potuto cercarlo? Ecco, appunto, mi sono chiesto “dove vado a cercarlo?”. E tuttavia, testardo, ho voluto mettermi alla prova. E credo di esserci riuscito.
E ciò anche a giudizio dei moltissimi appassionati che per tre settimane hanno visitato una mia Mostra ospitata negli Spazi della Editrice Mursia a Milano. Questa esposizione fu proposta e sollecitata da GianGiacomo Schiavi, Vice/Direttore del Corriere della Sera che ne curò la presentazione.
Ecco ora a voi alcune fotografie con le quali provo a dar voce al silenzio. Sono tutte di matrice diversa, e ciò perché un silenzio non è necessariamente somigliante ad altri. Lascio ora a voi il piacere di percorrere i suggestivi sentieri della fantasia per scovarne di nuovi.
Pronti e via.




IL SILENZIO – fotografie
Il silenzio l’ho incontrato in letteratura; è il silenzio, ad esempio, che inquieta il tenente Drogo ne “Il deserto dei Tartari” di Buzzati nella sua prima notte alla Fortezza Bastiani.
Il silenzio l’ho incontrato in pittura, penso a quello inquietante delle <piazze inanimate> di De Chirico.
Il silenzio ho voluto incontrarlo anche in fotografia. E ci ho provato. Ho percepito silenzi diversi, talora inquietanti, talora tranquillanti.
E l’ho trovato:
- negli spazi a noi estranei, indefiniti, privi di presenze significanti,
abitati da fantasmi sconosciuti - nella solitudine degli uomini
- nelle cose, nelle presenze senza vita che accendono il libero gioco
della fantasia.
Il silenzio va cercato nei nostri umori, è nelle nostre paure o nel nostro essere acquietati, in rottura o in armonia con le cose che vediamo o crediamo di vedere.
Il silenzio è…il silenzio. E questa, in chiusura, è la confessione, forse di comodo, della mia presunzione nell’aver voluto foto/raccontare il silenzio.
Filippo Crea





IL SILENZIO
di Giangiacomo Schiavi
Per capire il silenzio non basta guardare. Bisogna entrarci dentro. Il silenzio di Filippo Crea è una porta che si apre sul vuoto. Ma davanti a noi non c’è un baratro, una voragine; ogni immagine, anche la più lontana, è un frammento di vita che rimanda a un sogno, a un ricordo, a una paura.
Nella faticosa ricerca di un tempo più umano affiora la tristezza consapevole di quel che è andato perduto. Oggi camminiamo quasi senza suono, scriveva il poeta Giovanni Raboni, sorpreso ad ascoltare i suoi passi nella città con il traffico bloccato. Siamo frastornati da un grande rumore di fondo. In casa e fuori è sempre più difficile sentire le voci che ci parlano dentro.
Non so dove Crea è andato a cercare queste voci . Ma è riuscito a trovarne e ad isolarne qualcuna, a farci sentire con le sue foto quei suoni che ogni giorno ci sembrano indistinti, confusi, a volte perfino ostili. Io ho visto il silenzio nelle mani intrecciate di una donna vestita di nero, accanto a due sedie vuote che non fanno compagnia. Ed ho sentito il silenzio caldo della controra nel riposo di un operaio in canottiera, solo e abbioccato. In qualche foto c’è una solitudine che sgomenta. E la vaga dolcezza di un mare o di un cielo non bastano ad attutire il senso di uno smarrimento che poi è il nostro. E’ quello di chi non riesce a sentire più nulla.
Quando ci si addentra nei luoghi muti e deserti ci si ferma, si lavora con l’immaginazione e la fantasia vola. E’ bello meditare nell’apparente semplicità di un silenzio senza addobbi. A Milano succede di rado. Ci vuole una grande nevicata, forse. Oppure basterebbe essere un poco più normali. Ci sono silenzi irripetibili che ci aiutano a pensare.
Ma, come ha fatto Crea, bisogna andarseli a cercare.
Giangiacomo Schiavi / Vice Direttore del Corriere della Sera



Cordialmente
Filippo Crea

*** TRE SEDIE BIANCHE
Percorrevo la strada che mi avrebbe portato da Pontremoli al mare. Volevo scoprire la Lunigiana, terra che non conoscevo ma che sentivo già mia. Una breve sosta in un villaggio mi regalò questa immagine che io vidi da un punto di presa leggermente sopraelevato. Aveva catturato il mio sguardo il mix dei delicati colori pastello, il bianco delle tre seggiole allineate in diagonale, il bianco dolce della testa della donna difesa dalle sue braccia, il nero del suo vestito. Avevo notato soprattutto che la donna aveva accostato alla sua altre due seggiole vuote. Sì, due sedie vuote che ho immaginato in attesa di due presenze che le avrebbero fatto compagnia. Il tutto sapeva di quiete e di silenzio. Una fotografia che è orgogliosamente mia, e che mi ha fatto omaggio di molti e prestigiosi apprezzamenti.
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