Di Marcello Grassi per 8×8
Mi è stato riproposto di recente il tema ‘Henri Cartier-Bresson il più grande fotografo di tutti i tempi’.
Ho ammirato come tanti, a sedici anni o giù di lì, innalzandolo a dio, l’opera di HCB.
Avevo anche un suo poster in camera, smarrito direi in un trasloco, una riproduzione di una sua fotografia scattata in Grecia con una monella colta tra bianche e assolate mura, che, credo, possa essergli costata un po’ di pazienza.
Certo con la sua opera siamo ai massimi livelli. Il pioniere del foto-giornalismo, nato a Chanteloup-en-Brie nel 1904 e morto a Montjustin nel 2004 ha sicuramente lasciato una traccia importante.
Ma come dimenticare o mettere per secondo o terzo Herbert List (la cui Grecia mi interessa sinceramente molto di più), Joseph Sudek, Paul Strand, André Kertész, Robert Capa, Man Ray, Edward Steichen o Edward Weston? Robert Mapplethorpe o Helmut Newton? Koudelka o Salgado? Ansel Adams, Elliot Erwitt, Robert Doisneau, Martin Parr?
E di quanti non ho fatto il nome.
Effemeridi da circoli fotografici a parte, dove l’acquisto della Leica usata dai maestri equivale al raggiungimento dello status di fotografo, il più grande non c’è.
Non ci sarà mai.
Henri Cartier-Bresson ha testimoniato lucidamente e con grande intelligenza il suo tempo, che in parte è stato anche il nostro ed ha chiuso la sua esistenza terrena occupandosi, come ha fatto prima di lui anche Herbert List, della sua amata pittura.
Lì da dove era arrivato.
È stato un grande fotografo ed ha contribuito fattivamente ad avvicinare la fotografia a schiere di neofiti allargandone i confini non solo temporali.
Perché fare classifiche, mi sembra già tanta roba.
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