Molti anni fa rimorchiai una trentina di amici a Ranco su Lago Maggiore in visita al magico Museo dei Trasporti Ogliari. Mi aspettava proprio lui, Francesco Ogliari, che aveva sospeso per me una sua vacanza.
Avvocato di Cassazione, scrittore, esperto di filosofia e diritto canonico, aveva dato vita a questo magnifico spazio all’aperto. Aveva presieduto il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
E mi è tornata in mente la sua signorile disponibilità appena prima di scrivere queste mie cose sull’Universo dei Musei, intesi come miniera inesauribile di suggestioni per gli appassionati di Fotografia. E quando qualcuno mi dice “non sapevo più cosa fotografare” prendo a grattarmi furiosamente la pancia.
I musei, e ne cito alcuni tra quelli più strani a beneficio di chi <non sa cosa fotografare>; oltre ai Musei Vaticani, oltre agli Uffizi, oltre al Museo di Capodimonte ci sono, e segnalo a caso, il Museo dell’Ombrello, del Profumo, del Falegname, della Tortura, dei Pompieri, della Pipa, dei Bambini, e delle Pompe di Benzina e, credetemi, anche quello della Merda, ecc.
Mi fermo qui perché questo è uno Spazio di Fotografia. Ed ho scritto quanto sopra per rimarcare quali e quante siano le opportunità per il fotografo che affermi <non sapevo più cosa fotografare>.
Avanti quindi!
I tre pompieri. Qui l’autore ha ben percepito l’accostamento tra le figure dei tre pompieri e dei due ragazzi accosciati in basso a destra. Suggestivo il gioco cromatico acceso nella composizione dal forte colore giallo che è nella divisa dei vigili. Ok davvero!
Gli abattoirs di Nizza – <Abattoir> in francese equivale all’italiano <macello>. E nessuna delle due parole mi piace più dell’altra. Mi evocano sentori e colori di sangue. Qui, tuttavia, gli abattoirs di Nizza sono uno Spazio d’Arte enorme e vitalissimo.
Nell’abattoir 1 il fotografo ha voluto raccontare lo spazio enorme che oggi accoglie opere d’arte, e non più animali portati a morire. E l’autore ne ha reso qui le dimensioni mettendo in deciso rilievo, in alto, le imponenti guide metalliche una volta funzionali alle operazioni di macello.
Nell’abattoir 2 è ripreso come fatto d’arte un immondo deposito del materiale che <prima> era malamente accatastato in quegli spazi oggi votati alla documentazione ed all’arte.
Nell’abattoir 3 il fotografo ritorna ad un modo espressivo più convenzionale. La visitatrice del Museo sembra voglia fare il verso alla figura della pittura. Le due pesenze, accoste l’una all’altra, sembra assumano la medesima postura, e propongono la stessa espressione fisiognomica. Un accostamento che sa di complicità.
Musée des arts asiatiques. Una composizione semplice ed ok. Il pannello rosso in alto a dx gioca in equilibrato contrasto con il grigio chiaro dell’insieme. In basso a sinistra una minuta figura del nostro oggi prende buona nota di quanto ha già visto all’interno del Museo.
La mini/visitatrice. Una premiante battuta di caccia ha consentito all’autore di mettere nel carniere questo gioiellino scovato nel Museo Jean Cocteau di Mentone. La marcia in più del fotografo? È nell’avere pedinato la piccola fino a riprendere quel che aveva di già percepito. Una fotografia immediata e fresca.
Innamorati a Milano. Una presa attuale e tenera. I due ragazzi si tengono per mano. E l’autore ha ben percepito alcuni plus compositivi: le due magliette, bianche entrambe, <staccano> delicatamente sulla diversa cromia del dipinto. Bene, infine, per il leggero fuori/fuoco delle figure che è coerente con l’insieme.
Sola in Sala. La giovane ragazza percorre sola ed a passi sicuri una sala museale. Forse siamo in orario di chiusura. Decisamente armonica la composizione strutturata sul rigore geometrico delle direttrici orizzontali e verticali dell’ambiente. Fotogenicissimo è il rosso della figura che percorre questo spazio che appare come senza vita.
Villa Arson. È una Scuola d’Arte dello Stato francese, con grandi Spazi e laboratori all’interno e nei giardini. Questa fotografia è bella perché… è mia! Scherzo, è Ok perché è Ok. Spazio dilatato, silenzio, luce, arredo minimalista, e una figurina femminile minuscola come unità di misura dimensionale. E, vincente, una dominante cromatica calda e suggestiva. Ecco un esempio, l’ennesimo, di quanto la Miniera/Museo può regalare a chi vuole fare buona fotografia.
Fernand Leger. Gli spazi museali propiziano spesso anche fotogeniche opportunità di ricerca architettonica. E qui è il caso di questa struttura museale sita a Biot in Costa Azzurra, in cui una vetrata colorata viene ripresa come rettangolo verticale cromaticamente forte isolato dalle pareti divisorie scure di una sala adiacente.
Due più uno. Il ragazzo guarda un video. La coppia più in là invece legge le note riportate sul leggio. Due momenti distinti per una medesima curiosità. L’esame di un qualcosa d’arte rivela sempre non uno ma più modalità di riflessione e di giudizio. Ed è normale, ed è bene. che ciò avvenga.
Museo Novecento. Qui è Milano nel Museo Novecento. Questa immagine suggerisce un’escursione nel comparto architettonico. Sì, una scala mobile in primo piano apre su una cornice che ospita figure e presenze museali fotogenicamente descrittive.
Due giovanissime. Appartenenti al nostro oggi come documentato dal loro abbigliamento, queste due giovanissime curiose di cose d’arte. L’autore dell’immagine le ha deliberatamente emarginate a sinistra per fare spazio al luogo che le vede attentamente impegnate. Ancora una prova puntuale delle opportunità che gli spazi museali possono regalare a chi abbia voglia di fare della buona fotografia.
Curiose e perplesse. Qui è un Museo Etnografico nel quale il fotografo ha colto e catturato l’attenzione e la curiosità delle due signore intente a capire e a decodificare quel che è davanti a loro. Una prova ancora, e di certo non la più banale, di quanto sia ricco di opportunità il mondo dei Musei. E però bisogna frequentarli ed esplorarli dettagliatamente.
Dall’alto. Due più due ed è fatta. Due visitatori diversi per due opere diverse. Un espediente compositivo? Può darsi. Un spediente che comunque ha benissimo funzionato mettendo in complicità l’abilità del fotografo con la disponibilità del luogo. Ok, bene così!
Greta. Greta è il nome che ho immaginato per questa giovane allieva della Scuola d’arte di Villa Arson a Nizza. Mi aveva interessato, ammetto, la sua immobile bellezza ma, anche e soprattutto, l’intensità della sua attenzione per la pittura che le era davanti. E sono felice che la mia ricerca sui Musei mi abbia fatto questo raffinato omaggio.
Due donne. Una di ieri, l’altra di oggi. E quella di ieri sembra indifferente alla curiosità dell’altra. Una composizione fortemente armonica per cromatismo e per disposizione compositiva. E per l’equilibrio dei pesi e dei volumi. E per la quiete che ne impreziosisce l’atmosfera. O no?
Al Museo Chagall. Fragile e quieta la giovanissima visitatrice che fronteggia la visceralità sanguigna del dipinto <biblico> di Chagall, la cui forza cromatica è messa in risalto dal colore uniformemente leggero della sala. Bene, infine, che la metà a sinistra del fotogramma sia stata trattata con funzionale evidenza.
Palacio Nacional. È il cuore di Città del Messico ed è Sede del Governo. Nel visitarlo avevo notato in cima allo scalone d’ingresso un affresco realizzato dal grande Diego Rivera. Mi sono messo in linea di mira. Ed ho aspettato. Qualcosa avrebbe premiato la mia attesa. Un visitatore, tutto solo, con una felpa di forte colore blu si antepose all’affresco di contrastante cromia che ritraeva un universo di personaggi. E fu l’immagine che avrei voluto: un gioco accattivante di rimandi, cromatico e compositivo.
Largo alla fantasia. Avviene talora che gli ambienti museali offrano il pretesto ad immagini meno convenzionali come è qui in cui un pannello luminoso acceso da una miriade di lucine lega insieme le tre figure umane.
Lei al telefonino. I Carabinieri non ordinano che una fotografia sia necessariamente sofisticata. E qui hanno consentito che la ragazza di bianco vestita annotasse sul telefonino le sue riflessioni giusto accanto allo zoo umano che le è accanto.
Sosta. A volte in un Museo si avverte il bisogno di una sosta per riposo, o di ripensare a quanto si è già visto. In questa foto di deciso equilibrio dimensionale generato da molte direttrici orizzontali e verticali, l’uomo sosta quietamente all’interno di un riquadro che è delicatamente in luce.
Mathou. Mathou (in francese gattino) è il mio (a)micio. Ed io ho voluto, in chiusura, metterlo in vetrina perché gli voglio e mi vuole bene. Lui non va per Musei ma è un appassionato d’arte e quando può si dedica alle pitture di casa. E si impegna a decodificarle. Ed è stato infine molto orgoglioso di firmare questo articolo.
Ciao a tutti, Filippo Crea
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