Fotoamatore: uno dei tanti possibili percorsi, Carlo Ferrara.

Sensei esce come rivista virtuale, ma reale e concreta, ormai da 2 anni, così è venuto spontaneo recentemente il riunirci, sempre nel virtuale, per fare un poco il punto della situazione e analizzare tanto i nostri contenuti quanto ove possibile i nostri lettori.

Un dato statistico per me rilevane: i Lettori tra 18-24 anni sono 27,50%, quelli tra 25-34 anni 33,50%. Totale 61% di giovani fotografi.

 

© Carlo Ferrara. Focus – 2018

 

Mi guardo allo specchio e mi chiedo se sono in grado di parlare a questi giovani, o se invece con i miei 70 anni (dei quali circa 40 in compagnia della fotografia, 35 circa da professionista) farei meglio a stare zitto e a lasciare dire ai più giovani.

Un mio pensiero va agli anziani nelle comunità pellirossa. Erano custodi delle tradizioni, dei canti, delle storie, dei miti, per questo erano ascoltati e venerati.

I giovani non li consideravano un peso morto o, peggio ancora, un ostacolo per la conquista di un loro ruolo nella comunità… si ma era secoli fa!

Potrebbe valere anche oggi, per la fotografia, o noi anziani, per non dire vecchi, siamo animali in via di estinzione? E sopratutto: ho qualcosa da dire?

Mentre ci penso mi faccio, sempre allo specchio, un ghigno mefistofelico, mi dico: “Sai che? Ci provo! Tanto uno più, uno meno, ci provano tutti.”

 

© Carlo Ferrara. The weight – 2019

 

Mi guardo intorno, mi tuffo in quello che si trova sul web, sono confuso, non so bene se ci siano più fotoamatori o più insegnanti di fotografia. Praticamente chiunque dopo alcuni anni di pratica pensa che sia giusto condurre almeno un corso base, oppure un corso più specialistico di Photoshop, editing, reportage, street, storytelling, fotografia estremamente consapevole o altro. Poi, se vado a cercare su Google le esperienze pratiche di tali insegnanti nel reale, non di rado trovo poco di concreto. Capisco benissimo che il lavoro professionale sia insufficiente, che si cerchi di arrotondare con l’insegnamento. Però un poca di sincera autocritica a volte ci vorrebbe: “Sono davvero in grado, ho tutte le carte in regola?”

Dall’altra parte ci sono non pochi giovani che desiderano iniziare a fotografare, sentono la fotografia come un mezzo per esprimersi. Come iniziare? Una volta si iniziava tutti osservando e seguendo il papà o un amico che sapevano già fare. Naturalmente non bastava, “Il libro della fotografia” di Andreas Feininger, era un diffusissimo testo per apprendere più approfonditamente le basi. Si poteva anche proseguire con altri suoi importanti libri, tutt’ora validi.

 

© Carlo Ferrara. Hi – 2018

 

Le basi della fotografia, analogica o digitale che sia, sono rimaste invariate. Infine c’erano le riviste, quelle per principianti o dilettanti, come “Fotografare” o “tutti Fotografi” , ciclicamente ripetevano articoli sui rudimenti di base. Poi c’erano riviste con articoli tecnici più difficili, più dedicate alla conoscenza della storia della fotografia o a nuovi autori, come “Progresso Fotografico” “Photo“, versione italiana della rivista francese, con foto di copertina che quasi rivaleggiavano con Playboy o Playmen, che ti vergognavi un poco a comprarla ma cerano contributi interessantissimi di Ando Gilardi.

Ce n’erano anche molte altre, queste erano le più valide. C’erano pochi i libri fotografici importanti e costavano. Tutto ciò contribuiva ad una formazione diluita nel tempo, utile a non prosciugare il portafoglio quanto a fare sedimentare le conoscenze. Oggi basta una rapida ricerca sul web, per trovare veramente di tutto, sia dal punto di vista tecnico che da quello dell’approfondimento storico o concettuale.

Spesso per chi inizia è difficile riconoscere le fonti valide, molti vanno di copia/incolla e se sbaglia uno a cascata sbagliano tutti gli altri, così si diffondono a macchia d’olio conoscenze erronee. Però la mancanza di un “timing” nella formazione, come quello cadenzato dall’uscita di una rivista è altrettanto grave. Si può avere tutto e subito, gratis, e si finisce per essere disorientati e lasciar perdere. Ci si perde nel mare delle possibili informazioni se non si sa esattamente cosa si desidera apprendere o approfondire.

 

© Carlo Ferrara. Close the circle – 2020

 

I workshop possono essere utili però manca quel “fare insieme” col papà o con un amico. È un insegnamento forzatamente cattedratico, insieme ad altri, nessun “Maestro” cerca di capire cos’hai dentro, le tue vere esigenze, dove vuoi andare, dove vuoi arrivare. Non c’è quella “maieutica” che sarebbe indispensabile a fare crescere, a far “nascere” la verità dall’interlocutore.

Così ognuno deve trovare da solo quello che cerca nella fotografia, è anche una ricerca in se stessi. Chi sono? Dove voglio andare? Ogni risposta può essere assolutamente valida ed è strettamente personale. Professionista? Dilettante evoluto che espone? Semplice puro divertimento personale senza alcuna ulteriore aspirazione? Ricerca di like per aumentare la propria autostima? Va bene tutto, basta saperlo, importante non farsi trascinare, inconsapevolmente, dove non si vuole andare.

Ne ho parlato con Carlo Ferrara, mi piace moltissimo il suo approccio alla fotografia, artistico, concettuale, profondo ma anche molto sorridente e leggero.

 

© Carlo Ferrara. Different perspective – 2020

 

È solo un percorso, uno dei tanti possibili, però l’unico possibile per lui.

Si è racconto così:

“Potrei far correre i miei inizi fotografici ai primi interessi per la macchina fotografica di Papà. Effettivamente tutto comincia nel 2006 quando dopo un anno di convivenza decido che mi serve una passione. Dopo aver fatto seccare 10 bonsai capisco che il pollice verde non è il mio ramo. Così acquisto una Nikon D40X (la reflex entry-level dei tempi). Credo di essere bravissimo perché ho la reflex, ma quando inizio a confrontare i miei scatti col mondo, ricevo un commento che segna la mia passione “Non tutto ciò che impressiona un sensore, può chiamarsi fotografia”. Dopo un po’ di rabbia, scatta la scintilla e mi domando:”se avesse ragione?”. Così mi iscrivo al primo corso di fotografia base. Comincia un periodo di sperimentazione. Fotografo qualsiasi cosa, tutti i giorni, appena posso. Anni in cui mi confronto anche con lo sviluppo digitale. Frequento corsi, letture portfolio, mi faccio irretire da false promesse di sedicenti curatori (sono rarissimi quelli che credono nell’autore, solitamente credono nei soldi) e frequento workshop di tutti i generi. Anche quelli che non mi hanno insegnato molto mi hanno fatto capire che non avrei mai praticato quel genere (quindi qualche cosa me lo hanno insegnato!). Così inizio a costruire un mio percorso, capendo che solo metodo e studio possono far evolvere un fotoamatore.

Capisco anche che il primo passo che deve fare un fotoamatore è quello di valutare le proprie possibilità. Due soprattutto: economiche e in termini di tempo. Posso permettermi viaggi in giro per il mondo? No, quindi taglio una fetta. Posso permettermi ottiche da più di 1000€? No. Quindi avifauna e sport sono un’altra fetta (oltre alla mancanza di tempo per appostamenti) . Posso fare street? No, non ho tempo di piazzarmi e girare (perché la street non è cazzeggiare semplicemente per Stazzano!!!). Mi guardo intorno. Vengo rapito dalle cascine abbandonate, abbondanti nella mia zona. Così ogni domenica mattina entro in una cascina diversa. La luce di quegli ambienti mi rapisce totalmente. Ho però l’esigenza di inserire una figura umana all’interno di questi luoghi. Non voglio una modella, non voglio fare “urbex… voglio dare vita a questi luoghi usando la mia vita. Nasce il personaggio col cappello. Una parentesi: Nasce l’abbigliamento rituale. Ho le stesse scarpe, pantaloni, camicia e cappello da allora ( ho già speso almeno 100€ dalla sarta per prolungare la vita di questi abiti!). È una derivazione delle letture giovanili di Dylan Dog e più in generale delle edizioni Bonelli.

 

© Carlo Ferrara. Line – 2019

 

Divento un fumetto! Come il fumetto, ogni foto un’avventura, e qualche avventura che dura più albi. Nasce il primo libro: “SEI GIORNI”. Tutto in bianco e nero, racconta in sei giorni la vita di questo personaggio. Ogni giorno 6 foto, tutte orizzontali tranne la sesta che è quadrata e chiude il giorno. Il settimo non c’è, anche Dio in fondo si è riposato. Conosco così l’opera di F. Woodman.

Studio le sue opere e il suo pensiero. Storia e contenuti non coincidono coi miei ma capisco da lei che un percorso ha bisogno di idee, costrutto, basi ed emozione. Continuo con i luoghi abbandonati e il personaggio inizia a modificarsi, diventa più concettuale. Inizia l’indagine su me stesso (o meglio si focalizza nelle immagini che creo e la scopro a posteriori anche nelle immagini che avevo già creato ma che non avevo “visto”). Inizio la riscoperta di Calvino e Pirandello. Arrivo così a domandarmi: “Chi sono veramente?” in quell’eterno dubbio che non ha ancora dato risposte ma ha creato molte domande. Sono un Papà? Un Marito? Un operaio? Un fotografo? Lo chiedo a me stesso e con le miei immagini cerco il confronto con lo spettatore, chiedendolo anche a lui. Non chiedo chi è veramente, ma solo se anche lui ha il mio stesso dubbio. Se anche lui crede che ci sia solo un momento in cui tutti i diversi “Io” diventano un unico “Io”.

 

© Carlo Ferrara. Curtain – 2019

 

Un momento di sospensione o isolamento, un momento di equilibrio in cui tutti i me stesso si incontrano e valutano quale sarà la scelta da compiere. Un momento nel quale la ponderazione ci fa confrontare i vari “noi”. In questo periodo nascono altri due libri. “Quattro brevi storie” è il momento di passaggio tra le ambientazioni fatiscenti e l’esterno. La campagna e la collina cominciano a diventare le mie location. La nebbia (foglio bianco su cui scrivere) diventa la padrona delle mie foto. Per arrivare al terzo libro “Confine”. Il confine di cui parlavo tra “io” ed “io”. L’omino col cappello analizza il tema con le azioni tipiche che diventano “sotto storie” del personaggio. I salti, la cornice, le ombre contro le luci, il visionario senza testa, il reale trasformato in surreale (non è ciò che sembra). Insomma modi diversi per arrivare allo stesso risultato. Il saltatore è uno degli atteggiamenti più noti del Carletto Ferrara.

 

© Carlo Ferrara. Little house – 2020

 

Ispirazione Bressoniana? Può essere. Ma anche Erwittiana… può essere (perché i dettagli dell’inconscio non sempre son consci). Effettivamente alla base del salto c’è lo studio di Rodney Smith. Non famoso come i precedenti, sicuramente uno dei più grandi fotografi surrealisti esistiti. Una divagazione: vero, tutto è riconducibile in fotografia. Bresson, Erwitt, Smith, hanno prodotto foto di salti (e non solo loro. Han fatto saltare anche queen Elisabetta!!!!) Ma cosa non è “riconducibile” in fotografia, ed esageriamo, nell’arte? Nelle caverne non troviamo forse disegni rupestri di caccia , con animali e cacciatori “saltanti”? Possiamo cominciare da qui? Dicendo che Bresson si è ispirato a quei disegni? Fine divagazione. Così tra Rodney Smith e la nascente passione per Magritte (perché credo che non dobbiamo soffermarci solo sulle fotografie ma dobbiamo apprendere, come fotografi, da qualsiasi espressione visiva) comprendo che sono un Surrealista. Lo ero inconsapevolmente, lo sono oggi consapevolmente (ho letto anche i vari manifesti di Breton, e ahimè, mi ci ritrovo in molto).

Siamo ad oggi. Nelle varie peregrinazioni, ho scelto anche di partecipare a concorsi. Tre su tutti mi hanno affascinato e soddisfatto. Il premio Basilio Cascella, di Ortona (Vincitore). Il premio LINX di Trieste (“Secondo posto”). Il premio Artelaguna di Venezia (Uno dei 25 Finalisti). In questi ed in particolare nell’ultimo ho scoperto un mondo a me sconosciuto. Più di 15.000 visitatori in 30 giorni. Artisti da tutto il mondo insieme in tre grandi padiglioni; scambio di idee e cultura a contatto con gli spettatori in un inno, per me, all’arte.

 

© Carlo Ferrara. Border – 2019

 

 

La mia fotografia.

Sono talmente piccolo rispetto a questa parola che faccio fatica a comprenderla, ancora oggi. Penso che Fotografia, racchiuda talmente tante sfumature che non ho una mente così grande per comprenderle tutte. Il giusto e lo sbagliato hanno sottili confini. La Fotografia è crescita personale e culturale. Vive e ti fa vivere di fasi. Quando credi di aver capito, succede qualche cosa che rovescia le carte in tavola e ti fa riflettere. Non dimentico mai i miei esordi. In realtà non dimentico mai nulla di ciò che ho fatto in fotografia, anche perché ho appreso qualche cosa da tutto.

Creo dei miei “Credo” che nel mondo di oggi si potrebbero chiamare Tweet!!!!

Credo che si possa iniziare a comprendere la fotografia quando si comprende che ogni immagine prodotta è l’esperimento per la prossima.

Credo che il B/N sia la forma più adatta a me. (perché le tue foto sono tutte in B/N? Potrei dire mille verità, potrei parlare dell’emotività e dell’isolamento del soggetto. La verità vera è che mi piace, e che vedo in B/N ogni scena a colori che riprendo)

Credo nella Natura come unica religione (il mio rapporto con Lei è di massimo rispetto, credo che l’essere umano sia una delle tante forme di vita che esistono, regolata dalla Natura. Unica cosa perfetta.) Credo che il confronto con Lei sia il termine di paragone massimo per il mio dubbio esistenziale “Chi sono IO?”

Credo che la perfezione non esista. Credo che per produrre immagini sia necessario tendere alla perfezione.

Credo che due segreti per migliorare siano il confronto tra immagini e l’autocritica conseguente.”

 

Carlo Ferrara

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

 

 

 

NOC SENSEI è un modo nuovo di vedere, vivere e condividere la passione per la fotografia. Risveglia i sensi, allarga la mente e gli orizzonti. Non segue i numeri, ma ricerca sensazioni e colori. NOC SENSEI è un progetto di New Old Camera srl

One Comment

  1. Luca Scaramuzza Reply

    Ci ho messo mezzo secondo prima di associare memoria e fotografia e in quel mezzo secondo ho messo a fuoco l’atletico salto della pozzanghera associato al cappello d’ordinanza..ma sì, è lui, il Carletto!!
    Bravo Carlo, ben trovato su NOC ??

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