Moltissimi foto/appassionati, reclusi in casa per ordine del Signor Covid hanno provato a foto/documentare i fatti umani ed ambientali indotti dalla quarantena. Le prime prove che ho visto parlavano solo di “vuoto”; a Milano Piazza Duomo, la Galleria, considerata il salotto della città, tutte prive di presenze umane. Un vuoto angosciante, da disastro nucleare.
E poi così per le grandi arterie, per le storiche strade dello shopping di massa, e per quelle del centro animatissime da una clientela cosmopolita ed esclusiva. E così ancora per le gallerie della Stazione Centrale, e per altri vitalissimi siti della città, i mercati rionali senza una bancarella.
Ecco, il fotoamatore <della domenica> impegnatissimo a riprendere luoghi prima pulsanti di vita ed ora ammorbati nel vuoto e nel silenzio. Era, a mio avviso, una ricerca decisamente riduttiva. Sì, perché c’era molto altro da riprendere, e non solo nel tessuto urbano. C’era la solitudine nelle case, c’era soprattutto il silenzio privato degli uomini reclusi nelle loro abitazioni.
Da normale fotoamatore mi sono chiesto come io avrei potuto foto/raccontare questi territori umani privati e, perciò, invisibili. E potendo io ovviamente accedere solo a casa mia ho dovuto concludere che essa era il solo palcoscenico consentito a questo mio tentativo. Avrei provato a foto/raccontare fantasmi e memorie della mia fantasia e ho cercato di farlo. Ci sono riuscito o no? Poco importa, è stato comunque per me il tentativo di esprimermi per simboli. E, magari, qualcosa mi è rimasto dentro. E provo a spiegarlo a me ed a chi mi legge.
Ecco:
foto 1) Cosa ci azzecca con la quarantena questo orologio appeso nel bagno di casa? Tantissimo! Con un doppio scatto ho simulato un movimento che richiama quello del pendolo che marca inesorabilmente il tempo che passa. Un tempo lentissimo, simbolo triste della quarantena.
foto 2) Un frigorifero anemico che anemico non vorrebbe essere. I due meravigliosi ragazzi che mi sono stati mandati da “emergency” arriveranno più tardi, nel pomeriggio, con i viveri di soccorso.
foto 3) E’ passata mezzanotte, la TV tace, ed io vado alla finestra che guarda sul cortile sperando forse di vederci qualche segnale di vita. Che, ahimè, non c’è!
foto 4) Oggi è un nuovo giorno. E cosa potrò fare? Ho trovato. Trovo una annata storica de “La Domenica del Corriere” che mi racconta di cose vecchie e lontane. Mi sarà di aiuto, penso, per almeno due ore. Speriamo bene!
foto 5) Ore 14.30 – Deciso, farò un riposino. Poi si fa l’ora del telegiornale e poi …? Poi vedrò. In casa è silenzio pieno, oggi come ieri del resto. Un rumore improvviso mi sveglia. In soggiorno due finestre spalancate hanno dato via libera ad una brutta botta di vento. La sala è sottosopra ed io voglio foto/raccontarla. Come? Con uno scatto doppio che mi riproduce le finestre, le tende violentate, l giornali per aria. Un ricordo, anche questo, della mia quarantena.
Foto 6) E’ la scala che conduce al pianerottolo di casa mia, al 3° piano. Due, o forse anche tre volte al giorno, aprivo la porta di casa per vedere, per sentire se un essere mano le stesse percorrendo. Niente, silenzio, solo e sempre silenzio.
foto 7) Ho tempo, me lo assicura il Covid, per richiamare certe mie memorie. Ed ecco su un ripiano mio papà maresciallo dei carabinieri in grande uniforme e, accanto, mio zio Michele. Ho voluto scaldarli con qualcosa di più attuale e ho accostato loro questo super/panorama. Quando si ha tempo da perdere si possono fare anche cose del genere.
foto 8) Ed ecco la sola cosa che mi era dato di vedere guardando verso strada. Il tricolore sulla casa di fronte, pur sempre un richiamo alla vita da vivere … dopo. Il doppio scatto ed il colore forte li ho voluti per dare forza alla bandiera, a me, ed a qualche rarissimo passante.
foto 9) Non ero del tutto solo, confesso. Con me, a superare le lunghe ed annoianti ore della quarantena, c’era il mio (a)micio Matou che talora, e meglio, scovava modi migliori, e comunque più freschi, per far passare le ore.
foto 10) Matou era meno esigente di me. A sera risaliva la sua scaletta e guardava di fuori. Non è che ci fosse molto di stimolante da vedere, ma lui si accontentava. Si doveva accontentare, il convento non aveva molto da passare.
Filippo Crea
Lascia un commento