Alessandro Sozzi, dopo la Fashion Week milanese, è tornato dalla sua ragazza in Lituania. Data la sua provenienza, a causa dell’emergenza Coronavirus è stato messo in quarantena e scortato in una casa persa nel bosco. Questo è il suo diario fotografico.
Mi chiamo Alessandro Sozzi e sono un fotografo di Milano. Lo scorso anno ho deciso di trasferirmi nell’estremo est dell’Europa, in Lituania; i motivi sono tanti, non ultimo il fatto che la mia ragazza abita lì. Non direi però un taglio netto con le mie origini, infatti questo febbraio, la Milano Fashion Week mi ha riportato a Milano, per lavoro.
La fortuna, che mi perseguita da sempre nonostante la sua cecità, ha voluto però che proprio durante la mia permanenza a Milano iniziasse l’epidemia del Coronavirus, quello che oggi ogni italiano sta vivendo e che, tra le tante conseguenze, impone grossi limiti all’aggregazione sociale. È proprio da quel momento che è iniziato ad essere in dubbio il mio rientro nell’est dell’Europa.
Come molti di voi sapranno, i voli da e per Milano stanno subendo importanti modifiche e restrizioni. In data 25 Febbraio compare l’avviso: “Tutte le persone provenienti dalla Lombardia saranno controllate ancora a bordo dell’aereo”, ed è necessario si verifichino tutte le condizioni per cui “gli operatori del Centro nazionale della salute possano monitorare il loro stato di salute”.
Inutile dire che durante la mia permanenza a Milano io abbia avuto contatti di ogni tipo, soprattutto per via di un’intensa fashion week dove persone provenienti da ogni parte del mondo si sono incontrate e hanno interagito in ogni modo.
Il mio volo di rientro per l’est Europa è fissato per sabato 29 di Febbraio, il giorno che rende il 2020 bisesto e (apparentemente) funesto.
Il viaggio
L’aeroporto di Malpensa è deserto, proprio come Milano. Mica male, penso; niente code e attese ridotte. Stesso dicasi per l’aereo, semivuoto.
Anche i lituani, complice l’attitudine degli italiani all’uso di guanti e mascherine, si sono attrezzati.
Tralasciando la rara comodità di poter viaggiare seduto in mezzo a due posti vuoti, la cosa più interessante è che prima di decollare ci è stato dato un Public Health Passenger Locator Form, da compilare e consegnare all’arrivo.
Tutti i passeggeri si sono scambiati la stessa penna per compilarlo.
L’aeroporto
Dopo un volo tranquillo dall’arrivo puntuale, siamo scesi dall’areo e gli impiegati aeroportuali già sulla pista indossano le mascherine.
Al controllo passaporti invece ci accolgono con addosso delle tute anticontaminazione mentre, con gli sguardi filtrati dagli occhiali protettivi, ci indicano cosa fare e dove dirigerci.
E’ evidente come i lituani abbiano deciso di proteggersi. E di scherdarci, tutti.
Sono un tipo nostalgico e questa cosa mi ricorda tanto i vecchi tempi passati nei centri sociali, ma stavolta sembra di essere in un film, e non una commedia.
Terminati i convenevoli, mi viene consegnato un opuscolo illustrato che parla della nuova minaccia globale, mi viene chiesto da dove arrivo, dove sono stato, dove andrò a stare, il mio numero di telefono, quello di una persona a me vicina e mi viene caldamente richiesto un isolamento fiduciario di 14 giorni, durante il quale mi telefoneranno per chiedermi come sto.
Welcome to Lithuania, mi diranno, prima di lasciarmi andare.
Ovviamente dopo avermi controllato la temperatura.
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