Alo. Storie fra zaffiri malgasci.

Di Chiara Valenzano, Francesco Catanese.

 

Alo è una parola malgascia che significa Messaggero, tipica della tribù dei Bara da noi visitata nei pressi di Ilakaka all’interno del parco naturale di Isalo dove sorgono la maggior parte delle miniere di Zaffiri.

 

© Chiara Valenzano – Francesco Catanese

 

Mamadou ci chiede di fare in fretta, perché non c’é tempo nemmeno per una breve sosta prima che cali la notte nel deserto di Isalo.
Qui non ci sono lampioni, si vive in base alle ore di luce. Sveglia alle 5 e a letto alle 20:00.

Ore 18. Arriviamo a Ilakaka, la città degli zaffiri. É buio pesto.
Siamo sopraffatti da una strana atmosfera, la terra è rosso fuoco. Le strade quasi completamente vuote e silenziose.

 

© Chiara Valenzano – Francesco Catanese

 

Ore 6 del mattino.

Arriviamo alle miniere a cielo aperto. Oltre agli operai, impegnati nell’estrazione delle gemme, incrociamo una quarantina di bambini.

Ci salutano, ci chiamano Vasa (straniero), ci guardano con stupore, giocano con noi e in cinque minuti ci conquistano tutti con i loro grandi sorrisi. Non è un posto per turisti, né tantomeno frequentato da bianchi.

…e d’un tratto scopriamo come ci si sente ad essere minoranza…

 

© Chiara Valenzano – Francesco Catanese

 

I minatori sono l’ultimo anello della catena, ai vertici della quale ci sono investitori in ogni angolo del mondo, che partecipano al grande business globale delle pietre preziose.

Guardiamo gli indigeni raccogliere zaffiri, pietre grezze che loro riconoscono fra tante, con grande naturalezza; eppure intercettare quella giusta è sempre motivo di grande euforia.

Ore 15:00 ci dirigiamo al mercato delle gemme, a 10km di distanza da Ilakaka.

 

© Chiara Valenzano – Francesco Catanese

 

I negozi sono dieci piccoli bungalow dove gli acquirenti, come i due gemmologi francesi che ci hanno accompagnato, entrano con le loro torce, controllano le pietre sul banco e fanno offerte ai venditori, che spesso sono i minatori stessi.

 

© Chiara Valenzano – Francesco Catanese

 

In questo angolo d’Africa, una delle cose che più colpisce è vedere come in un perimetro di terra assai circoscritto coesistano pacificamente tante religioni diverse: cristiani, mussulmani, animisti…

Un giorno, facendo una passeggiata a cavallo nel parco del Isalo con le sue ambientazioni tipiche da farwest, ci imbattiamo in un piccolo villaggio che scopriamolo essere abitato dalla tribù dei Bara (la più antica popolazione di quelle terre).

Lì incontriamo il loro sciamano, nonche’ capo-villaggio.

 

 

Sono rimasti in pochi ad essere ancora fedeli al credo animista ma sono molto uniti, vivono di agricoltura e, attraverso lo stregone, comunicano con i morti che li guidano.

Quando, ad esempio, avvertono la presenza di una qualche energia negativa nella zona in cui hanno costruito il villaggio, le anime gli comunicano che è tempo di cambiare luogo.

Un lento migrare da un sito all’altro, che li rende un po’ nomadi, benché il loro legame con la terra natia sia imprescindibile…

 

© Chiara Valenzano – Francesco Catanese

 

Qui vediamo povertà, ma non miseria.

Le persone vivono in simbiosi con la natura, che è rispettata e amata dalla popolazione, lo percepiamo da subito: le loro case sono fatte di legno e paglia, i polli pascolano liberi e i bambini giocano scalzi e giocano con la terra tutto il giorno.

Alcuni usano cavallette morte per giocare; quando gli va raccolgono il cocco dall’albero. Vivono con poco, pochissimo, ma sono tutti felici e vivono con pienezza ogni giorno.

Diremmo lo stesso della nostra società occidentale, che definiamo ‘evoluta’ e figlia del ‘progresso’?

 

Chiara Valenzano, Francesco Catanese.

 

 

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