Scritto per e pubblicato su Witness Journal
L’ecologismo è il nuovo credo della società contemporanea.
Al netto dei traguardi raggiunti nell’arco degli ultimi decenni – come la riduzione del 90% delle emissioni automobilistiche e il restringimento del buco dell’ozono – il culto “green” continua la sua incetta inarrestabile di consenso, soprattutto in Occidente.
E se nel nostro emisfero la causa dell’ecosostenibilità gode di ottima salute massmediatica, lo stesso non può dirsi per il Sud del mondo.
L’opera di Negrello ci conduce attraverso la notte buia di Quito, capitale dell’Ecuador.
Qui, a dispetto delle conquiste elencate dagli enti locali, il destino della raccolta differenziata è affidato letteralmente alle spalle dei “riciclatori”. In larga parte donne di età compresa tra i 15 e gli 80 anni, spesso trascorrono più di dodici ore tra i miasmi dei rifiuti, alla ricerca di tutto ciò che è in grado di essere riutilizzato.
In base alle stime della Rete Nazionale dei Riciclatori dell’Ecuador (Renarec), a Quito le unità coinvolte nel servizio di raccolta sono 3.400.
A turni di lavoro massacranti si aggiungono i rischi connessi alla criminalità notturna della capitale sudamericana e i salari da fame che le donne ricavano dalla loro attività.
In città come Quito o Cuenca (la terza più popolosa dello Stato), il governo non prevede meccanismi di pagamento periodico fisso; circostanza che si converte in una remunerazione ingiusta, basata sulla quantità di materiale riciclato effettivamente venduto e non sul servizio che i lavoratori forniscono alla comunità. Il salario trimestrale si aggira intorno ai 300 dollari, circa la metà di uno stipendio base mensile.
La matematica suggerisce cifre da povertà assoluta.
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