In tempi antichi, la fisica usava la nozione di etere per intitolare un presunto fluido invisibile che, in teoria, riempiva lo spazio e costituiva il mezzo trasmittente di tutte le manifestazioni di energia, con lo sviluppo della scienza l’esistenza dell’etere veniva scartata.
Il linguaggio poetico invece si appella al termine etere per intitolare quell’immateriale che circonda il pianeta Terra, qualcosa di estremamente delicato, leggero, che ricorda o è simile all’aria che riempie lo spazio.
Se la fotografia vale qualcosa per noi quando congeliamo una regione dell’universo, è cercare di catturare la realtà, ma anche l’impossibile, l’etereo, attraverso la poesia visiva.
Cristóbal Carretero Cassinello
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