Giuseppe Masante (Lead srl). Fujifilm GFX. Sistema innovativo.
È venuto a trovarci Giuseppe Masante, titolare della Lead srl di Gazzada (VA)
Lead srl è un fornitore di attrezzatura fotografica, di networking e archiviazione, di pre-stampa e stampa, con una esperienza pluriennale e riconoscentissimo da tutte le aziende del settore fotografico e delle arti grafiche.
Oggi ne abbiamo approfittato per parlare di Fujifilm e del nuovo sistema medio formato digitale GFX.
Anche per Giuseppe il nuovo sistema è innovativo e rivoluzionario e (sottolinea) lo si apprezza ancor di più in fase di stampa per la qualità e la raffinatezza del file e delle immagini prodotte.
Grazie Giuseppe per la bella chiaccherata e a presto.
Buona visione a tutti.
Trovo che quando si parla di “qualità dell’immagine” occorre chiarire che questa espressione porta con sé una fondamentale ambiguità.
Coloro che ritengono la fotografia uno strumento per “fotocopiare la realtà visiva”, usano parlare di “qualità dell’immagine” riferendosi sostanzialmente alla capacità della fotocamera di ricostruire un’immagine corrispondente a ciò che è visto direttamente dagli occhi, ma anche la capacità analitica, cioè di cogliere dettagli invisibili allo sguardo – insomma si chiede alla fotocamera non il realismo ma l’iperrealismo.
Invece coloro che ritengono la fotografia come racconto della realtà, una scrittura attraverso l’immagine, un mezzo espressivo e di pensiero, allora fotocopiare la realtà non è assolutamente lo scopo. Addirittura l’iper-analiticità nei dettagli, l’iper-visibilizzazione di ombre-luci sono un problema perché riempiono l’immagine di particolari oziosi. Proviamo a immaginare la pagina di un racconto in cui l’autrice/autore si perde in descrizioni sempre più minuziose e inutili: la narrazione morirebbe!
Allora è importante chiarire che c’è una “qualità dell’immagine” in chiave iperrealistica volta diciamo così al “copismo” estremo della realtà.
Ma c’è anche un’opposta “immagine di qualità”, ovvero una buona narrazione/riflessione sulla realtà (che sarebbe ammazzata dall’iperrealismo, dall’iper-analiticità).
Personalmente ritengo copismo, iperrealismo, visibilismo elettronicamente aggiustato, derive devastanti per la fotografia d’autore.
Grazie per il suo commento. Però per “qualità dell’immagine” non si intende (o non si voleva intendere) solo la ricerca estrema del dettaglio. All’interno della valutazione qualitativa della fotocamera (e del file generato) ci sono aspetti come la fedeltà cromatica o di estensione nella lettura della luce che sono ugualmente importanti per l’autore, anche nella fotografia espressiva e non necessariamente solo in quella iperrealista. Detto questo, siamo perfettamente d’accordo con lei circa l’inutilità dell’ultra definizione fine a se stessa. E infatti siamo sempre stati noi i primi a non aver mai dato importanza solo ai numeri. Grazie ancora e buona serata.
Capisco, ma continuo a trovare la preoccupazione di copiare un colore o di rendere visibili tutte le cose, un progetto di scrittura fotografica fallimentare.
Tendenzialmente sono abbastanza radicale 🙂
Voglio dire: non si copia un colore, ma si traduce un colore.
Ecco la vedo così.
Certo. E però la macchina dovrebbe comunque
tradurtre il colore così come lo vorrebbe l’artista e non diversamente.
Approfondendo il discorso, non si può tralasciare che lo scopo proprio di una azienda è ricercare il miglioramento continuo del suo prodotto. Fu così anche con le pellicole. E con gli sviluppi. E con le carte. Fatta questa considerazione, siamo sempre stati noi i primi a prendere le distanze da valutazioni esclusivamente basate sui valori tecnici. E a mantenere il giusto distacco dallo strumento che di per se non assicura un risultato. È però innegabile che avere un valore massimo 100 per poi utilizzarne consapevolmente solo una parte è legittimo e a nostro avviso utile e lodevole. Viceversa, sarebbe anacronistico, oltre che una limitazione forzata.
Per carità certo che è legittimo. Ma il mio discorso è molto più radicale, sostengo addirittura che macchine tanto analitiche rendono impossibile la bellezza di un’immagine perché si riempirà di particolari oziosi; con questi strumenti si possono però fare fotografie molto dettagliate e questo può avere un grande valore per usi specialistici, per esempio la fotografia di architettura quando occorre riprodurre gli aspetti più minuti dei materiali.
Purtroppo ho idee radicali su tutto. Per esempio sono convinto che a parte casi particolari (per esempio le immagini di W. Tillmans) le fotografie devono essere stampate nella misura di un libro. Non trovo eleganti le fotografie grandi come schermi televisivi che ora si vedono nelle mostre. Forse anche perché penso, appunto, che la fotografia sia niente altro che scrittura, e la scrittura sta nei libri, e i libri nelle biblioteche, non nei centri commerciali come i televisori.
Ma non prendetemi troppo sul serio, di queste idee balzane me ne viene almeno una al giorno 🙂
State bene.