Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; in un precedente articolo già online su questa piattaforma ho introdotto l’argomento della produzione ottica cinese con la relativa, recente radiazione filetica di modelli e aziende che sta attirando l’attenzione degli appassionati, soprattutto per i prezzi molto concorrenziali in relazione all’apertura relativa o alle caratteristiche geometriche degli obiettivi proposti, listini che permettono, quindi, di accedere alle medesime senza ricorrere ad un mutuo.
In questa occasione voglio parlare di un modello molto particolare, il Zhongyi Mitakon Speedmaster 135mm 1:1,4, un teleobiettivo da ritratto davvero anomalo per varie ragioni: la sua apertura massima eccezionale non ha eguali nella produzione attuale, fornendo inedite possibilità espressive agli amanti del bo-keh e della messa a fuoco selettiva, si tratta di un obiettivo in tiratura molto limitata, prodotto in 100 esemplari nel corso del 2016 e, infine, le sue caratteristiche ottiche estreme comportavano un prezzo di listino nell’ordine dei 3.000 Dollari, quindi non certo abbordabile come la produzione cinese ci ha abituato…
Solleviamo quindi il velo sui segreti di questo mostro di luminosità, sfruttando anche le informazioni contenute nell’inedito brevetto cinese del suo schema ottico.
Lo Zhongyi Mitakon Speedmaster 135mm 1:1,4 è un obiettivo presentato e messo in pre-ordine nell’Ottobre del 2015, poi prodotto nel corso del 2016 in una tiratura di appena 100 esemplari, passando come una meteora nell’universo delle ottiche per fotografia; sulla sua storia, tuttavia, apparentemente non è ancora stata scritta la parola fine, come vedremo in seguito.
L’obiettivo venne distribuito in attacco Canon EF, tuttavia come spesso avviene in ottiche di produzione cinese, la volontà di economizzare e semplificare la montatura ha escluso a priori comodità ormai scontate come il diaframma automatico o l’autofocus, pertanto l’obiettivo si monta sui corpi EOS ma richiede la classica messa a fuoco manuale e anche il diaframma, con ghiera priva di click-stops sui valori interi, non prevede alcun sistema di chiusura automatica al momento dello scatto, pertanto dopo la messa a fuoco a tutta apertura occorre agire sulla ghiera e chiudere l’iride al valore di lavoro per scattare la fotografia, una procedura che ci riporta indietro di sessant’anni.
Il massiccio barilotto interamente metallico misura ben 111mm di diametro per 160mm di lunghezza e la sezione delle lenti anteriori impone l’utilizzo di enormi filtri a filetto da 105mm; la scala di messa a fuoco consente di scendere fino alla distanza minima di 1,6m, un valore non eccezionale che limita la massima scala di riproduzione ad 1:10 (campo inquadrato: 240x360mm); le aperture di diaframma disponibili spaziano da 1:1,4 ad 1:16 e l’iride prevede 11 lamelle, garantendo un’apertura praticamente circolare che rende più piacevole il bo-keh nello sfondo.
Il design complessivo appare al passo coi tempi, tuttavia il brand name Zhongyi in carattere corsivo stona con la sobrietà dell’insieme ed è doveroso notare anche la semplificazione meccanica sul comando del diaframma che ha imposto sulla ghiera una numerazione con spaziatura non equidistante bensì logaritmica, con i numeri che si avvicinano progressivamente passando alle massime chiusure come nelle ottiche vintage di molti anni fa, e questo unitamente all’assenza di click-stops rende un po’ macchinoso impostare un preciso valore predefinito.
Notate anche come l’obiettivo venga fornito di serie con un filtro UV protettivo; questa scelta avvantaggia l’utente perché filtri da 105mm di diametro sono insoliti, costosi e difficili da trovare, tuttavia la ragione della sua presenza a corredo sta nello schema ottico con la prima lente realizzata in vetro ED, un materiale composto da fluoruri e metafosfati che è molto fragile e facilmente soggetto a graffi e altri danni, pertanto il filtro si rende necessario per salvaguardarne l’integrità (in effetti molti obiettivi giapponesi con lente ED frontale prevedono un filtro protettivo fisso incorporato nella montatura anteriore); in questo accessorio fa un po’ sorridere la ridondanza di sigle inserite sulla montatura: Zhongyi HD Ultra Slim PRO MC UV 105mm: celiando, si potrebbe dire che manca solo la scritta Turbo…
Il complesso schema ottico rende l’obiettivo vulnerabile al flare di controluce, pertanto questo 135mm 1:1,4 prevede a corredo anche un enorme ed efficace paraluce rigido in metallo che, opportunamente, può essere fissato anche in posizione rovesciata per il trasporto; l’ingente peso dell’obiettivo ha anche suggerito di equipaggiarlo di serie con un collare girevole per il fissaggio al treppiedi, tuttavia questo elemento appare un po’ sottodimensionato per la massa in gioco e, a parte i timori per l’integrità strutturale durante l’uso, a volte attacchi di questo tipo non adeguatamente dimensionati e sperimentati hanno innescato cicli di vibrazioni anomale durante lo scatto, creando problemi di mosso inaspettati.
Questa immagine evidenzia come risultino esili il collare e la “potenza” che lo distanza dal basamento filettato, soprattutto se consideriamo il peso dei componenti: 255g per il paraluce, circa 2.530g per l’obiettivo e altri 175g per il collare di fissaggio stesso portano infatti ad un valore complessivo nell’ordine dei 3kg, più consono ad un 300mm 1:2,8 che a un 135mm… Questo naturalmente rende l’obiettivo quasi impossibile da utilizzare a mano libera, considerando anche le difficoltà legate alla messa a fuoco e al diaframma completamente manuali.
Del resto questo Zhonghyi Mitakon Speedmaster è un 135mm solamente per le caratteristiche geometriche, mentre le dimensioni e la massa lo avvicinano invece a tele superluminosi di focale maggiore come questo Canon EF 200mm 1:2 L IS, peraltro e paradossalmente molto più semplice a utilizzare a mano libera grazie all’autofocus, al diaframma ovviamente automatico e allo stabilizzatore evoluto con un gain pari a ben 5 f/stops.
Per quanto concerne la reperibilità, avevo anticipato che la produzione fu limitata a 100 esemplari nel corso del 2016, tuttavia sembra che questo modello sia nuovamente disponibile, quantomeno su ordinazione.
Questa immagine è infatti tuttora presente (25 Novembre 2022) sul sito mitakon.com.tw in una pagina che pubblicizza proprio tale modello.
Questo screenshot (chiedo scusa per gli strafalcioni del traduttore automatico) è attualmente presente nella stessa pagina e conferma come l’obiettivo sia tuttora disponibile, eventualmente su ordinazione con pagamento di un anticipo; purtroppo non è chiaro se la cifra indicata costituisca una caparra parziale o copra totalmente l’importo necessario: in quest’ultimo caso il prezzo di 69.900 Dollari Taiwanesi, corrispondenti al cambio odierno a circa 2.170 Euro, risulterebbe più abbordabile rispetto a quello originale per la tiratura del 2016.
Vediamo ora le caratteristiche del sofisticato sistema ottico, sfruttando le informazioni presenti nel brevetto che, curiosamente, venne richiesto solamente nel 2017, quando la tiratura di 100 esemplari era già esaurita da tempo.
Come già descritto nel precedente articolo dedicato al Mitakon Speedmaster 50mm 1:0,95, Xu Zonghyi non ha solamente un ruolo manageriale nell’azienda con partnership giapponese che produce questi obiettivi col brand name Zhongyi Mitakon ma a sua volta è un progettista ottico qualificato e dirige il team che disegna gli schemi di tali modelli; infatti anche il brevetto per questo 135mm 1:1,4 è stato depositato proprio da Xu Zonghyi assieme a Liu Weizhen, suo partner in molti progetti analoghi.
Lo schema ottico definito dal brevetto segue la storica architettura Ernostar, tipico di molte ottiche luminose con ridotta copertura angolare, e prevede ben 11 lenti in 5 gruppi; come vedremo, questo schema è nato esattamente 100 anni fa ma su ottiche tele di grande apertura garantisce tuttora ottime prestazioni.
Questa tabella definisce i parametri grezzi di progetto del 135mm 1:1,4, indicando anche le tipologie di vetri ottici di origine cinese utilizzati nella sua confezione; il documento riporta anche il diametro effettivo di questi elementi e consente di comprendere le ragioni di un peso complessivo così elevato: infatti le prime 8 lenti misurano rispettivamente 97mm, 88mm. 88mm. 78mm, 78mm, 78mm, 63mm e 63mm di diametro, una profusione di vetro che è la principale responsabile della massa insolitamente elevata.
Questo stralcio del brevetto definisce in chiaro l’indice di rifrazione e la dispersione (numero di Abbe) per ogni lente dello schema, e consente di identificare le tipologie dei vetri impiegati; in questo caso il numero di Abbe 81,6 (che definisce una dispersione cromatica estremamente ridotta) ci conferma che la prima, la seconda e la quarta lente sono realizzate con un vetro di tipo ED, e considerando i diametri rispettivi di 97mm, 88mm e 78mm troviamo una parziale giustificazione al prezzo di listino insolitamente elevato per un obiettivo concepito e prodotto in Cina.
Nel brevetto sono presenti anche schemi con la previsione di alcune aberrazioni; l’aberrazione sferica longitudinale appare ben corretta, nonostante la grande apertura, mentre l’astigmatismo ben controllato è stato finalizzato a scapito di una leggera curvatura di campo residua, tuttavia sempre moderata e probabilmente accettata perché nel ritratto non risulta molto penalizzante, mentre un comportamento astigmatico con lo stesso soggetto risulterebbe più sgradevole.
Con un 135mm che apre fino ad 1:1,4 è lecito attendersi una vistosa caduta di luce ai bordi, tuttavia lo schema tipo Ernostar, molto favorevole in questo senso, e il grande diametro degli elementi anteriori (la prima lente ha un diametro 2,7 volte superiore a quello del tripletto posteriore) consentono di limitare questo difetto e ad 1:1,4 la trasmissione luminosa agli angoli del campo è quasi il 35% di quanto disponibile sull’asse, con una vignettatura complessiva di poco superiore a 1,5 f/stops, certamente percettibile ma non elevatissima per i parametri in gioco.
Il documento include addirittura un diagramma con trasferimento di modulazione di contrasto (MTF) misurato da 0 a 40 cicli/mm di frequenza spaziale (procedendo da sinistra a destra) e leggendo con mire ad orientamento sagittale e tangenziale (cioè parallele o perpendicolari alla semidiagonale di campo) in 4 zone del fotogramma: al centro, con 4,5° di semiangolo, con 6,5° di semiangolo (zone mediane) e con 9° di semiangolo (bordi), il tutto alla massima apertura 1:1,4; i valori preconizzati appaiono elevati per tale apertura, confermando almeno in teoria una valida resa ottica.
Vediamo ora in dettaglio le caratteristiche dello schema ottico utilizzato.
Lo schema impiegato prevede una lente frontale singola seguita da 4 doppietti o tripletti; il tutto è concepito come un concentratore che accorpa progressivamente i light pencils operando come una lente di ingrandimento che focalizza i raggi solari in un punto, promuovendo quindi la notevole luminosità del sistema.
Per quanto riguarda i materiali, in quest’obiettivo i progettisti hanno impiegato 6 tipologie di vetro ottico, così articolate: nelle lenti L1, L2 ed L4 troviamo un Phosphate Crown PK a bassissima dispersione i cui parametri corrispondono ai classici vetri ED-UD-SD utilizzati dai vari fabbricanti, e rimarco nuovamente il grande diametro di questi elementi; nelle lenti L3, L5 ed L10 abbiamo invece vetri Dense Flint SF caratterizzati da alta o altissima rifrazione e alta dispersione; la lente L6 è realizzata con un materiale agli ossidi delle Terre Rare Lanthanum Flint del tipo LAF7; la lente L7 prevede un particolare vetro Barium Light Flint del tipo BALF4, di utilizzo poco frequente; la lente L8 utilizza un semplice Flint F8 e, infine, gli elementi L9 ed L11 del tripletto posteriore sfruttano invece un materiale estremo e molto costoso, il Lanthanum Dense Flint del tipo LASF31 che si caratterizza per un indice di rifrazione estremamente elevato (1,883) con una dispersione parimenti contenuta, se consideriamo l’altro fattore (numero di Abbe: 40,8).
E’ quindi sicuramente uno schema sofisticato e concepito senza badare a spese per i materiali, fattori che inevitabilmente hanno influenzato il prezzo finale.
La presenza di 3 lenti in vetro ED, 2 delle quali acromaticamente accoppiate a vetri Dense Flint ad alta dispersione, evidenziano la grande attenzione messa in campo per correggere l’aberrazione cromatica, dettaglio importante in un superluminoso da ritratti perché le frangiature di aberrazione cromatica longitudinale nello sfuocato a tutta apertura possono risultare sgradevoli, sia in immagini statiche che a maggior ragione nel video.
Questo schema e i vetri utilizzati promettono prestazioni di alto profilo, tuttavia il progetto stesso sottende una notevole criticità: questo gruppo ottico non prevede flottaggi interni per la messa a fuoco, pertanto tutto il sistema monolitico deve fisicamente muoversi avanti e indietro per regolare la distanza; l’elicoide si trova quindi costretto a supportare e movimentare letteralmente chili di vetro e infatti non mancano report legati al cedimento strutturare del sistema di messa a fuoco stesso, probabilmente sottodimensionato per una simile massa… Una soluzione avrebbe potuto essere eventualmente un sistema con movimento lineare su guide e sfere, a sua volta spinto avanti e indietro ma non sostenuto direttamente da un elicoide, viceversa il fabbricante ha optato per un elicoide tradizionale che pare fonte di problemi, confermando l’impressione diffusa che questi obiettivi creati da aziende cinesi siano all’altezza della situazione sul piano dell’ottica ma prevedano montature e soluzioni meccaniche non completamente soddisfacenti.
Questo tipo di schema viene detto Ernostar perché si rifà direttamente agli omonimi progetti che un giovanissimo Ludwig Bertele aveva realizzato per conto della Ernemann di Dresda e che erano destinati alle celebri fotocamere Ermanox; queste architetture erano geniali e la loro efficacia nella concezione di obiettivi di grande apertura e con angolo di campo non eccessivo è tale che anche oggi molti obiettivi moderni con tali caratteristiche si basano proprio su questi schemi creati da Bertele a inizio anni ’20, quindi un secolo fa!
Un altro famoso esempio di 135mm con grande apertura basato sullo schema tipo Ernostar è il Nikon Nikkor 135mm 1:2 del 1976; osservando il suo schema assieme a quello del Mitakon 135mm 1:1,4 si nota immediatamente la matrice comune, naturalmente con struttura più complessa nel modello cinese ben più luminoso.
Il trait d’ùnion intermedio fra gli originali Ernostar anni ’20 e il Mitakon 135mm 1:1,4 moderno è costituito da speciali obiettivi creati dall’olandese De Oude Delft o dalla tedesca Rodenstock e destinati agli apparecchi medicali per x-ray; ad esempio, in questi progetti completati da Johannes Becker nel 1958 lo sfruttamento estremo dell’effetto concentratore del tipo Ernostar ha portato ad obiettivi con apertura 1:0,75 o addirittura 1:0,70, uno dei quali entrò poi in produzione come Rayxar 50mm 1:0,75 e in tandem con un’altra ottica intercettava la debole immagine del fluoroscopio trasportandola su un tubo video per consentire al medico di osservare l’immagine radiologica.
Anche in questo caso, abbinando lo schema del Rayxar 50mm 1:0,75 a quello del Mitakon 135mm 1:1,4 si riconosce l’appartenenza alla stessa tipologia, tuttavia nell’obiettivo De Oude Delft per ottenere un’apertura massima così spinta si è sacrificato lo spazio retrofocale, letteralmente ridotto ad alcuni millimetri (e infatti da una quindicina d’anni cerco di adattarne in digitale un esemplare in mio possesso e meccanicamente mi risulta ostico persino con le moderne mirrorless), mentre nel 135mm di Zhongyi la complessità dello schema con ben 11 lenti è dovuta anche alla necessità di garantire lo spazio retrofocale sufficiente ad un corpo reflex Canon EOS.
Come curiosità, un 135mm con apertura 1:1,4 costituisce sicuramente un obiettivo stupefacente anche oggi, tuttavia già in passato era stato realizzato qualcosa del genere: infatti questa pubblicità statunitense dell’estate 1967 reclamizza proprio un obiettivo VIvitar da 135mm con apertura 1:1,5, valori quasi analoghi in un obiettivo lanciato mezzo secolo prima e probabilmente sviluppato con un occhio a commesse ed utilizzi di tipo militare.
Lo Zhongyi Mitakon 135mm 1:1,4 è quindi un obiettivo molto particolare e sicuramente un eloquente biglietto da visita per il livello raggiunto dalla progettazione ottica cinese; questo modello peraltro incarna anche la filosofia industriale che vuole comunque una riduzione dei costi anche in modelli prestigiosi, incorrendo in soluzioni infelici o inciampi di percorso come il diaframma manuale con spaziature irregolari sulla ghiera o i citati problemi all’elicoide di messa a fuoco, scelte in questo specifico caso poco sensate e produttive visto il prezzo che comunque caratterizza il prodotto finale dopo gli inevitabili aggravi imposti dal gruppo ottico e che rende poco graditi compromessi del genere; si tratta in ogni caso di un 135mm con apertura 1:1,4 e correzione quasi apocromatica che promette meraviglie nel ritratto, nella figura ambientata e in tutte le situazioni foto/video in cui una compressione dei piani con messa a fuoco estremamente selettiva risultino determinanti.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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