Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la corazzata Zeiss Ikon, forgiata da una campagna di acquisizioni senza precedenti che coagulò il fior fiore dell’industria fotografica tedesca sotto l’egida in un singolo marchio, è sempre stata famosa per la sterminata gamma di fotocamere che proponeva a catalogo, molte delle quali ereditate dai listini delle aziende assorbite e semplicemente riproposte col nuovo marchio; nel Dopoguerra, la Zeiss Ikon di Stuttgart per ovvie ragioni si muoveva con più modeste ambizioni, tuttavia il retaggio genetico Zeiss del modello di fotocamera mirato per ogni categoria di utente era ancora vivo anche in questa nuova declinazione societaria.
Un limite tradizionale mai valicato da Zeiss Ikon è relativo all’eccesso di semplificazione ed economia costruttiva, forte di un principio informatore secondo il quale le fotocamere Zeiss, a qualunque fascia di mercato fossero destinate, dovevano comunque prevedere la tipica complessione robusta e il gusto un po’ logorroico per il perfezionismo che da sempre sono il simbolo della Casa; infatti, anche negli anni ’50, gli apparecchi a base di gamma si distinguevano dai modelli più sofisticati ed esclusivi più che altro per una progressiva semplificazione funzionale, mantenendo tuttavia la complessione e l’impronta di design tipica delle versioni più costose.
Ad esempio, le fotocamere 35mm Zeiss Ikon Contina I, Ia, II e III consentivano di contenere il loro prezzo di listino rinunciando ad un telemetro accoppiato (la messa a fuoco avveniva a stima su scala metrica), eventualmente all’esposimetro e sfruttando obiettivi più semplici ed economici forniti da terze parti (ad esempio Rodenstock) come i vari Pantar, Novar e Novicar, mantenendo tuttavia la solida costruzione metallica assemblata con elevata precisione e il family feeling nel design tipico delle fotocamere del marchio, sfruttando anche un otturatore Prontor della Gauthier di Calmbach con un’adeguata gamma di tempi; la rinuncia, il compromesso, erano quindi relegati alla semplificazione e non all’adozione di un differente standard qualitativo o all’accesso ad un design con metodologie costruttive differenti.
Anche analizzando fotocamere ancora più popolari come la Continette e la Symbolica, troviamo comunque materiali, design, complessione ed elementi di dettaglio tipicamente Zeiss Ikon, con tanto di obiettivi Lucinar e Tessar orgogliosamente marchiati Carl Zeiss; si tratta ovviamente di fotocamere pensate per clienti alle prime armi, come si può osservare nei dettagli della Symbolica che prevedeva solo 3 settaggi basilari di messa a fuoco (evidenziati dalla classica grafica intuitiva col mezzo busto, il gruppo di persone e le montagne ad infinito) e un sistema di esposizione automatica accoppiato alla fotocellula al selenio che gestiva autonomamente tempi e diaframmi, tuttavia il design, la precisione e la robustezza di questi semplici apparecchi li accomunava al resto della famiglia.
Tenendo conto di questo retaggio, la mossa architettata da Zeiss Ikon a fine anni ’50 va quindi considerata estremamente coraggiosa e innovativa da tutti i punti di vista: sfruttare la disponibilità dei nuovi materiali plastici per produrre un apparecchio entry level costituito da gusci di bakelite stampata, scelta drastica e completamente estranea alla rocciosa tradizione Zeiss che consentiva tuttavia di abbattere i costi di produzione; lo sfruttamento di questa nuova tecnologia consentì anche ai tecnici di concepire l’impensabile: abbandonare il classico layout dell’apparecchio spigoloso e metallico e abbracciare un design fatto di curve armoniose ed ergonomia ante litteram.
Questo prodotto così anomalo venne presentato nel 1958, il suo codice interno è 500/24 e venne lanciato col nome di Ikonette 35.
La Ikonette 500/24 è un apparecchio sconcertante fin dalla prima occhiata, con quella struttura in plastica azzurra che, di primo acchito, ci fa pensare ad un gadget regalo per fustini di detersivo; in realtà si tratta di un apparecchio molto razionale, letteralmente costruito attorno al gruppo obiettivo/otturatore centrale e perfettamente centrato sulle competenze ed ambizioni di chi utilizza la fotocamera solo saltuariamente e in modo non impegnativo; questa tipologia di clienti non si era mai avvicinata agli apparecchi Zeiss Ikon, troppo “professionali” e costosi per loro, e la nuova Ikonette diventava quindi un cavallo di Troia per fidelizzare al marchio una fascia di utenti mai coinvolta prima; in questo senso, anche la forma avveniristica con il corpo curiosamente incurvato, la ghiera di riavvolgimento del film ordinatamente integrata nella simmetria della forma e il colore che suggerisce sentimenti sereni alla prima occhiata contribuivano a rendere attraente la modesta Ikonette agli occhi di chi è meno interessato alle complesse caratteristiche tecniche e si fa ammaliare invece dall’aspetto complessivo.
La Ikonette è un apparecchio semplicissimo solamente in apparenza, dal momento che permette di impostare manualmente messa a fuoco, diaframmi e tempi di posa, seppure con gamma limitata, consentendo quindi all’utente un ragionevole controllo sulla resa finale dell’immagine; un elemento distintivo della Ikonette è la grande “racchetta” in plastica posta a fianco dell’otturatore e che gestisce sia lo scatto che il relativo riarmo con avanzamento simultaneo della pellicola.
Questo particolare costituisce il dettaglio più caratteristico della Ikonette e anche gli advertising dell’epoca indugiavano su tale componente, mostrando come ad otturatore carico una corsa breve acquisisse la foto, e ad otturatore scarico una corsa più lunga riarmasse il medesimo e avanzasse il film, una soluzione minimalista e anche pratica per l’utente.
Un altro dettaglio esclusivo e molto piacevole della Ikonette, reso possibile dalla sua struttura in plastica stampata, è la sagoma incurvata del corpo macchina con spigoli completamente arrotondati che, assieme all’insolita racchetta di scatto/avanzamento e al colore celeste, configuravano un apparecchio di aspetto moderno e distante anni luce dal teutonico grigiore degli altri apparecchi della casa, proponendo anche una maggiore naturalezza di brandeggio; la fotocamera era concepita in modo da raggruppare la maggioranza dei comandi essenziali attorno al gruppo obiettivo/otturatore, autentico centro nevralgico del modello al punto che, concettualmente, lo si potrebbe assimilare a quegli economici apparecchi con obiettivo ed otturatore a ghigliottina che calzavano direttamente su un caricatore Instamatic e si tenevano nel cruscotto dell’auto per documentare eventuali incidenti, dispositivi in cui tutta la tecnologia profusa, in pratica, era applicata solamente al sistema otturatore/ottica.
Osservando l’apparecchio dall’alto, troviamo innanzitutto la ghiera di messa a fuoco su scala metrica, scalata da infinito a 0,9m con uno snapshot setting di colore rosso accanto alla misura dei 5 metri che consentiva di impostare l’apertura 1:8 ed ottenere una profondità di campo da infinito a circa 3 metri, un settaggio molto conveniente per limitare il disagio della messa a fuoco a stima che permetteva anche – chiudendolo appunto ad 1:8 – di sfruttare al massimo la resa ottica consentita dal modesto obiettivo Novar-Anastigmat 45mm 1:3,5 a 3 lenti di probabile produzione Rodenstock.
Dietro questa ghiera, sul corpo dell’otturatore centrale Deckel Pronto, troviamo gli indici della profondità di campo (con riferimenti per 1:4, 1:8, 1:11, 1:16 ed 1:22, utili considerando gli eventuali errori nella stima delle distanze) e la ghiera cromata e godronata con una linea di fede rossa che consente di selezionare i tempi di posa, a loro volta indicati sul corpo dell’otturatore, scegliendo fra la posa B e le istantanee da 1/25”, 1/50”, 1/100” ed 1/200”; sul lato destro, nella stessa posizione, è presente anche la piccola levetta che arma l’autoscatto, attivabile sollevandola verso l’alto.
A sinistra, sul corpo dell’otturatore anodizzato in nero, è visibile anche un nottolino girevole che imposta le aperture del diaframma; queste ultime sono riportate su una ulteriore ghiera, situata dietro l’otturatore, che consente di impostare un ampio range di valori compresi fra 1:3,5 ed 1:22; l’apertura 1:8 è di colore rosso, per ricordare il suo abbinamento allo snapshot setting, e il valore impostato è visibile attraverso uno scasso sagomato nella fusione di plastica del corpo; per semplicità produttiva le indicazioni dei diaframmi non sono a spaziatura equidistante ma le distanze si riducono progressivamente verso i valori di massima chiusura, al punto che l’apertura 1:16 è definita solo da un punto fra 1:11 ed 1:22 perché non c’è sufficiente spazio per la grafica convenzionale.
La macchina consente quindi di operare con accoppiamenti tempo/diaframma da 1/25” 1:3,5 ad 1/200” 1:22, una gamma sufficiente per affrontare tutte le situazioni di ripresa con esclusione delle foto di interni o al buio, per le quali era previsto l’uso del lampeggiatore.
Il semplice mirino si apriva sopra l’otturatore e in asse con l’obiettivo per minimizzare l’errore di parallasse alle distanze più brevi, mentre il top dell’apparecchio appariva spoglio e pulito, presentando solamente l’attacco filettato per lo scatto flessibile (utile per le pose lunghe su treppiedi), la slitta per inserire il flash Ikoblitz 4 a lampadine e il contafotogrammi, inserito in una sede triangolare e da azzerare manualmente ad ogni cambio di rullino; sul lato sinistro del top, integrato nella struttura, è visibile la ghiera godronata in plastica per il riavvolgimento del film esposto, da utilizzare dopo aver svincolato la pellicola con il relativo pulsante posto sul retro, accanto al piccolissimo oculare del mirino.
Nella parte inferiore della fotocamera sono visibili l’attacco per treppiedi con filettatura da 1/4” e il manettino che consente di sbloccare il dorso, ruotandolo fino a farlo coincidere con i relativi riferimenti rosso e verde; come da tradizione Zeiss Ikon, sostituendo il film viene rimosso l’intero dorso.
Infine, sotto l’otturatore è visibile una presa per il cavo di sincronizzazione del flash Ikoblitz montato sulla relativa slitta.
Come accennato, per armare l’otturatore scarico ed avanzare il film occorreva abbassare completamente la racchetta in plastica accanto all’obiettivo, mentre per scattare era sufficiente azionarla con una corsa più breve, identica procedura da seguire anche con l’autoscatto, previo armamento della relativa levetta; nel mirino veniva visualizzato un segnale rosso che rivelava se l’otturatore fosse armato o meno, facendo capire al fotografo se poteva scattare direttamente, con una corsa breve della racchetta, oppure era necessario armare l’apparecchio, con un movimento più lungo a fondo-corsa.
La Ikonette era un apparecchio estremamente economico per gli standard Zeiss Ikon (sul listino Zeiss Ikon statunitense dell’Ottobre 1959 la fotocamera costava solamente 29,95 $), una riduzione dei costi ottenuta principalmente grazie alla struttura in plastica che ha quindi permesso di mantenere un obiettivo decoroso di buona apertura e un otturatore centrale regolabile su una gamma di tempi sufficiente, in pratica gli elementi concreti per preconizzare risultati soddisfacenti; per rendere la Ikonette 500/24 più attraente e trasformarla in articolo da regalo era disponibile anche una confezione con un kit composto dalla fotocamera, un tappo anteriore di copertura, la cinghia di trasporto e il flash Ikoblitz 4 al prezzo complessivo di 42,40 $; è interessante notare che, per mantenere il prezzo della Ikonette il più basso possibile, sotto la “soglia psicologica” dei 30 $, l’apparecchio veniva fornito completamente spoglio, privo persino di tappo, cinghia o borsa pronto.
D’altro canto, per suggerire ai clienti l’immagine di una fotocamera “vera” nonostante l’aspetto da giocattolo dei Looney Tunes, la Zeiss Ikon aveva applicato i consueti protocolli aziendali, come quello di mettere a disposizione una ricca scelta di accessori opzionali e financo eccessivi per le modeste pretese della Ikonette: paraluce, costodia in cuoio per paraluce, custodia in cuoio per paraluce e 3 filtri (!), filtri specifici da 27mm UV, giallo, giallo/verde, arancio, rosso, Skylight 1A, 85C, 85B, polarizzatore Contapol e addirittura 4 lenti addizionali macro Proxar da 1m, 0,5m, 0,3m e 0,2m di focale che consentivano di ridurre la distanza minima di messa a fuoco da 0,9m fino a 0,15m; completavano l’offerta l’esposimetro esterno Ikophot Rapid e il citato lampeggiatore a lampadine Ikoblitz 4 per bulbi M5 ed M25; le possibilità concesse da questo corredo opzionale erano ulteriormente esaltate dalla presenza della posa B e dei relativi attacchi per treppiedi e scatto flessibile che mettevano in grado l’utente di realizzare pose lunghe aggirando le possibilità dell’otturatore, limitato ad 1/25”.
Questa gamma di accessori, vista col senno di poi, era più fumo negli occhi per qualificare l’economica fotocamera che una proposta concreta: dubito infatti che gli inesperti acquirenti di una Ikonette si sarebbero dilettati calcolando compensazioni esposimetriche in funzione del fattore di assorbimento dei filtri o sfruttando lenti addizionali macro dalla regolazione critica con un inespensivo apparecchio in plastica la cui messa a fuoco è solo a stima, senza alcun riscontro…
Va comunque riconosciuto a Zeiss Ikon di aver rispettosamente concesso ai nuovi proprietari di una Ikonette la possibilità di realizzare fotografie anche sofisticate (compatibilmente con la focale fissa da 45mm), nonostante si trattasse di un prodotto palesemente entry level.
Le illustrazioni di questo catalogo mostrano anche l’aspetto della confezione regalo, completa di tappo, cinghia e lampeggiatore, e una foto della Ikonette con il flash Ikoblitz 4 montato, con la relativa parabola aperta e il cavo di sincronizzazione applicato alla spina sotto l’otturatore.
Il design fresco e moderno che caratterizza la Ikonette viene confermato anche nel particolare tappo protettivo opzionale: quest’ultimo è vincolato da un laccio solidale all’attacco sinistro della cinghia di trasporto e, grazie alla sua particolarissima sagoma, svolge simultaneamente varie funzioni: protegge l’obiettivo e l’otturatore, protegge il mirino e blocca la racchetta di scatto, impedendo esposizioni involontarie.
Il tempo impietoso ci racconterà poi che, nel corso degli anni, le deformazioni impreviste del materiale plastico avrebbero creato vari problemi di tenuta alla luce e corrispondenza del piano focale, tuttavia la Ikonette 500/24 era e rimarrà un modello storicamente importante perché sancisce il temporaneo abbandono da parte di Zeiss Ikon dei suoi panni seriosi di allieva della perfezione per concedersi temporaneamente un sano intermezzo ludico e giocoso in cui allentò il suo cilicio fatto di standard assoluti per creare un prodotto inaspettato ma anche perfettamente indovinato per uno specifico target di clienti potenziali, una tipologia di apparecchio che verrà replicata anche dai cugini della DDR quando metteranno in produzione la Beirette, addirittura realizzata in differenti livree colorate.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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