Zeiss Hasselblad 60mm 1:5,6 F

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; questo articolo costituisce il primo di una serie di quattro dedicati agli obiettivi Zeiss prodotti ad Oberkochen per Hasselblad e commercializzati negli anni ’50 per sostituire gli originali forniti da Kodak dal 1948 al 1953 (sui quali ho realizzato per Nocsensei un altro articolo specifico); questi primi modelli concepiti dall’azienda tedesca furono mantenuti a listino fino all’introduzione della successiva generazione “C” con otturatore centrale incorporato fra le lenti, presentata nel 1957 con la nuova Hasselblad 500C.

Le ottiche Zeiss Opton (brand name forzatamente usato fino al 1953) e Carl Zeiss tipo “F” per Hasselblad appartenenti a questa prima generazione furono sostanzialmente dedicate all’Hasselblad 1000F, evoluta dal primo modello 1600F con migliorie; il primo esemplare, un Sonnar, venne affiancato alle versioni Kodak Ektar già nel 1951, poi, a partire dal 1953, gli obiettivi tedeschi soppiantarono ufficialmente quelli americani e per quattro anni costituirono la dotazione della fotocamera svedese; naturalmente, accoppiandosi ad un corpo macchina dotato di un proprio otturatore a tendina, queste ottiche non prevedevano un analogo dispositivo di tipo centrale all’interno del barilotto, tuttavia non vanno confusi con gli omonimi Carl Zeiss tipo F presentati negli anni ’70 per le nuove Hasselblad serie 2000 con otturatore a tendina; infatti, sebbene le caratteristiche funzionali di queste fotocamere fossero analoghe a quelle delle 1600F e 1000F degli anni ’40 e ’50 e anche la nuova generazione di ottiche F fosse priva di otturatore, il sistema di attacco al corpo macchina è differente e non compatibile.

Procedendo per lunghezza focale, questo articolo è dedicato al modello più “corto” di questa gamma, lo Zeiss Distagon 60mm 1:5,6.

 

 

Parlando di 60mm per Hasselblad occorre una disambiguazione preliminare perché esistono ben cinque obiettivi di tale focale dedicati alla fotocamera di Goteborg: un Biogon 60mm 1:5,6 metrico (nato sostanzialmente per le missioni spaziali della NASA) e quattro Distagon 60mm, differenziati a loro volta per schema ottico ed apertura massima: un 1:3,5 del 1977, un 1:4 del 1961, un 1:5,6 del 1957 e un altro 1:5,6 del 1953; troviamo quindi addirittura due versioni del Distagon 60mm 1:5,6, la prima delle quali è quella protagonista dell’articolo e riconoscibile per la livrea nera, l’assenza di otturatore centrale e relativa ghiera di controllo per i tempi di posa e lo specifico attacco a settori filettati M60x6mm, mentre l’altra fu introdotta quattro anni dopo assieme alla 500C e prevede uno schema ottico rivisto (simile a quello del Distagon 35mm 1:4 per Contarex svelato l’anno successivo), un barilotto con la classica finitura satinata cromo delle ottiche serie “C”, l’otturatore centrale Synchro Compur e il nuovo attacco a baionetta.

Trattandosi di una linea di obiettivi destinata a soppiantare i Kodak forniti da Rochester a partite da fine anni ’40, Victor Hasselblad chiese ai tecnici Zeiss di replicare per quanto possibile le caratteristiche estetiche e funzionali degli Ektar, in modo da garantire in questo passaggio una sorta di continuità tecnica e formale; furono quindi mantenute le caratteristiche godronature metalliche a sbalzo che caratterizzavano gli obiettivi americani, tuttavia in casa Zeiss ormai ritenevano che la finitura nera del barilotto fornisse una connotazione da strumento moderno e professionale, pertanto questo modello ricevette tale trattamento, lasciando in metallo a vista solo le parti godronate più soggette ad usura; la scala di messa a fuoco replicava invece le caratteristiche di quella già vista sugli Ektar, riproponendo negli esemplari in feet una doppia unità di misura cromaticamente distinta (distanze maggiori in piedi e minori in pollici) e prevedendo anche il promemoria “from film” già visto sulle ottiche americane.

Le lenti dell’obiettivo beneficiano di trattamento antiriflessi già piuttosto efficace per l’epoca (in questo settore ad Oberkochen erano all’avanguardia, grazie anche alla partnership con un’azienda tedesca specializzata nel settore delle campane sotto vuoto, la Heraeus G.m.b.H di Hanau) e la sua messa a fuoco minima arriva ad 1m / 20”; la ghiera del diaframma, a controllo manuale, consente di impostare aperture comprese fra 1:5,6 e 1:22.

Citando i precedenti Ektar, anche questo 60mm presenta un punto rosso di riferimento che indica l’apertura che garantisce la massima resa ottica complessiva; trattandosi di uno schema ancora relativamente primitivo per la categoria, la curvatura di campo piuttosto forte comprometteva la resa ai bordi, pertanto l’apertura ottimale suggerita si trova fra 1:11 ed 1:16, un valore decisamente chiuso e scelto come compromesso fra diffrazione e aumento della profondità di campo, quest’ultima utile per minimizzare in certe aree del campo la sfocatura dovuta alla citata curvatura di campo.

 

 

Il Carl Zeiss Distagon 60mm 1:5,6 serie F per Hasselblad del 1953 è un obiettivo storico perché rappresenta in primo grandangolare retrofocus destinato ad apparecchi reflex prodotto dall’azienda, quindi anche il primo a fregiarsi di questa nuova denominazione, il cui etimo latino/greco evoca ampio angolo e distanza, intesa come spazio fra il vertice dell’ultima lente e il piano focale; pertanto, contrariamente a quanto è avvenuto per la quasi totalità dei concorrenti, il primo grandangolare retrofocale di Oberkochen non era destinato ad un apparecchio 24x36mm bensì ad una fotocamera di medio formato; anche la controparte di Jena stava sviluppando obiettivi analoghi, per i quali venne invece scelto il nome Flektogon.

Questa scheda è desunta dalla prima brochure ufficiale Hasselblad dedicata alle ottiche Carl Zeiss serie F (divulgata nel 1954, giusto in tempo per aggiungere alle pagine anche il nuovissimo e straordinario Biogon 38mm 1:4,5, quest’ultimo però con otturatore centrale); il testo informa che l’angolo di campo sulla diagonale è pari a 65°, garantendo quindi una copertura assimilabile a quella di un 35mm sul piccolo formato, e sottolinea l’importanza dell’innovazione, dal momento che risultava possibile utilizzare un obiettivo ad ampio angolo di campo mantenendo la visione reflex tramite lo specchio.

 

 

Agli esordi degli schemi retrofocus fotografici, sviluppati in contemporanea da Pierre Angenieux e Harry Zoellner di VEB Carl Zeiss Jena, i sistemi di calcolo automatico meccanizzato erano ancora molto primitivi e il progettista non era in grado di definire gli schemi estremamente complessi che sarebbero stati necessari per garantire un’elevata correzione, pertanto i primi esemplari si uniformavano tutti allo stesso, semplice concetto: un obiettivo primario al quale veniva anteposto un grande menisco divergente anteriore che provvedeva ad aumentare lo spazio retrofocale; come si può osservare in questo spaccato, anche il Distagon 60mm 1:5,6 serie F non faceva eccezione e i due elementi principali appena descritti sono facilmente riconoscibili.

 

 

L’onore di calcolare il primo grandangolare retrofocus di Carl Zeiss fu tributato a Guenther Lange, a quel tempo capo del Rechensbuero; Lange ipotizzò due diverse varianti a 6 lenti, con differenze minori, entrambe basate su un obiettivo principale a 5 lenti in 3 gruppi, con 2 doppietti collati, e un menisco divergente anteriore, notevolmente spaziato.

 

 

Come confermato dai dati presenti sulla versione svizzera del documento, la richiesta prioritaria di brevetto fu depositata da Gange per Carl Zeiss in Germania l’8 Luglio 1953, quindi lo sviluppo del sistema ottico avvenne con anticipo sufficiente per predisporre l’obiettivo definitivo in vista della Photokina d’autunno.

In questa fase è assolutamente necessario un excursus legato alle caratteristiche dello schema ottico e ad interessanti implicazioni tecniche e anche politiche in seno all’azienda; queste considerazioni saranno altresì valide anche per il futuro articolo dedicato al medio-tele Carl Zeiss Sonnar F 135mm 1:3,5.

 

 

Ludwig Jackob Bertele, storico progettista di Carl Zeiss Jena, quando sviluppò i suoi celebri obiettivi normali Sonnar 5cm 1:2 e 1:1,5 per Contax creò anche una terza opzione a 5 lenti, un modello più economico con apertura 1:2,8 ma parimenti eccellente; come ho ampiamente anticipato in un articolo dedicato a questo modello, Bertele ricalcolò il Sonnar 5cm 1:2,8 a 5 lenti per ben tre volte nella sua carriera: nel 1931, a fine anni ’30 e nel 1947, quando già progettava obiettivi per Wild in Svizzera, e fu ossessionato per decenni da questo modello che, a suo parere, costituiva un felicissimo connubio fra prestazioni ed economie produttive, mentre la Zeiss Ikon si era sempre rifiutata di metterlo a listino; Bertele fece l’ultimo tentativo a fine anni ’40, quando sottopose ai tecnici Zeiss di Oberkochen il terzo ed ultimo brevetto per tale schema ottico, con la speranza che potesse entrare nel corredo delle nuove Contax IIa e IIIa della Zeiss Ikon Stuttgart; purtroppo per lui, anche in questo caso dovette assistete ad una fumata nera: la Zeiss realizzò effettivamente un prototipo partendo dal più promettente modello del brevetto datato 1947, lo testò trovandolo ottimo e poi lo consegnò a Bertele per le sue prove personali (ora ho l’onore di conservare tale esemplare nella mia collezione), tuttavia si rifiutò di metterlo in produzione, gettando il progettista nello sconforto.

Per Bertele il danno oltre la beffa fu un altro: con il brevetto in mano durante la realizzazione del prototipo, tecnici come Helmut Eisman, Walter Jahn e lo stesso Guenther Lange ebbero modo di studiare approfonditamente i segreti racchiusi in tale disegno, preziose informazioni che vennero poi messe a frutto in successivi obiettivi disegnati ad Oberkochen e brevettati a nome dell’azienda, mentre il Sonnar di Bertele era registrato a nome del progettista, quindi la Zeiss avrebbe dovuto pagare delle royalties che invece non erano dovute con questi nuovi progetti ispirati al modello di Bertele, dal momento che l’azienda deteneva i diritti sul brevetto.

Infatti, se osserviamo la struttura dell’obiettivo primario disegnato per il Distagon 60mm 1:5,6 F, appare evidente quanto sia strutturalmente simile a quella brevettata da Bertele nel 1947 per il suo Sonnar 50mm 1:2,8 e poi utilizzata dalla stessa Carl Zeiss nel 1951 per realizzare il citato prototipo.

Durante una mia permanenza presso la sua proprietà, il figlio di Bertele mi raccontò di quanto suo padre Ludwig fosse contrariato dal lassismo con cui gli esaminatori concedevano brevetti che risultavano evidenti plagi delle sue proprietà intellettuali, accettando variazioni di scarsa rilevanza come elementi sufficienti per garantire un nuovo brevetto, e sicuramente l’esempio appena descritto rientra in tale casistica; lo stesso fatto che la Zeiss si fosse presa la briga di brevettare questo nuovo schema anche in Svizzera, seconda patria di Bertele dal 1946, costituisce addirittura quasi uno sberleffo all’ex progettista Zeiss: come direbbe Camilleri, “la sputanza messa sotto il naso”.

 

 

Lo schema ottico del 60mm 1:5,6 F fu rubricato come 10 41 02 ed prevedeva nella quarta lente un vetro tipo Schott BaSF51 prodotto utilizzando anche ossido di torio (in effetti è un vetro con specifiche al limite della categoria lanthanum Flint che, all’epoca, la vetreria Schott non era ancora in grado di produrre senza elementi radioattivi); fermo restando l’evidente citazione del Sonnar 1:2,8 di Bertele, l’architettura complessiva ricorda molto l’Angenieux Retrofocus 35mm 1:2,5 di tre anni prima.

 

 

Questa scheda informativa fu realizzata da Zeiss a fine anni ’70 ad uso documentazione interna, quando l’obiettivo non era più prodotto da oltre 20 anni, e il foglio originale è anche passato attraverso un allagamento dovuto all’esondazione del fiume Kocher; il documento ci informa che l’obiettivo misurava 43,5mm di lunghezza e, grazie alle lenti di piccole dimensioni e al barilotto in lega leggera, pesava solamente 280g; la focale effettiva dell’esemplare misurato era di 59,5mm con un’apertura geometrica pari a 1:5,59.

La montatura anteriore utilizza un tappo a pressione da 57mm e una filettatura interna da 54×0,75mm mentre quella posteriore prevede un sistema ad innesto rapido ibrido, basato su una filettatura M60x6mm con innesto rapido che richiede una rotazione breve; il formato coperto è ovviamente 57x57mm e lo schema ottico è quello conforme al prototipo 10 41 99 V3 (tipica denominazione prototipica Zeiss di quell’epoca, nella quale l’ultima coppia di numeri del codice finale è sostituita da 99, la lettera “V” indica Versuch – prototipo – e il numero successivo i relativi step del suo sviluppo, cioè terzo prototipo della serie).

 

 

I diagrammi MTF misurati ad Oberkochen il 30 Luglio 1979 sul Distagon 60mm 1:5,6 F sono stati trasferiti a mano su carta millimetrata (Made in Germany, of course!) il 3 Agosto dello stesso anno, dal momento che gli hardware informatici disponibili all’epoca in azienda non erano ancora in grado di stampare direttamente i grafici; gli obiettivi calcolati in Zeiss a inizio anni ’50, dai primi Distagon ai Planar per medio e grande formato, erano accomunati da una scelta progettuale di base: accettare un’apprezzabile curvatura di campo per mantenere sotto controllo l’astigmatismo, una scelta considerata razionale perché il degrado prodotto dall’astigmatismo era apprezzabile mentre gli effetti della curvatura di campo in soggetti tridimensionali a distanze normali erano spesso inavvertibili o, addirittura, accentuavano la resa plastica dell’immagine.

Questa caratteristica accomuna anche il Distagon 60mm 1:5,6 F e risulta penalizzante nel caso di misurazioni di questo genere, realizzate invece a distanze brevi e focalizzando l’immagine di una mira piana; infatti, in questi diagrammi MTF misurati ad 1:5,6 ed 1:8 con 10, 20 e 40 cicli/mm di frequenza spaziale e orientamento sagittale e tangenziale, i valori risultano molto elevati sull’asse (estrema sinistra), trattandosi del piano sul quale era stata effettivamente regolata al messa a fuoco del sistema, salvo poi degradare bruscamente procedendo verso i bordi perché tali zone sono portate fuori fuoco dalla curvatura di campo; la correzione dell’astigmatismo è invece sottolineata dalla vicinanza fra le coppie di curve sagittale (mire con linee parallele alla semidiagonale del formato) e tangenziale (mire con orientamento perpendicolare alla stessa semidiagonale); questa particolare priorità nella correzione è condivisa anche da molti obiettivi Leitz d’epoca e, nell’uso pratico, il rendimento effettivo appare sicuramente migliore di quanto non facciano supporre i diagrammi, proprio perché le differenze del piano di fuoco nelle varie zone dell’immagine sono attenuate dallo sviluppo tridimensionale del soggetto e dalla profondità di campo.

 

 

A riprova di questo autentico fingerprint collettivo possiamo osservare gli analoghi diagrammi misurati su un altro, celebre Carl Zeiss Distagon della prima ora, il 55mm 1:4 tipo 10 41 37 montato sulla Rolleiflex biottica grandangolare, un obiettivo progettato da Erhard Glatzel nel 1960-61 e, nonostante lo schema sostanzialmente evoluto e i vari anni trascorsi dal disegno del 60mm, l’andamento dei diagrammi e i valori assoluti risultano analoghi, a testimonianza di priorità invariate nella correzione delle aberrazioni.

Il Distagon 60mm 1:5,6 F rappresenta comunque il primo, timido approccio di Zeiss in questo settore, pertanto occorre un po’ di indulgenza e non si può pretendere la perfetta correzione dei Distagon di nuova generazione concepiti da Karl-Heinz Schuster a fine anni ’80 – inizio anni ’90.

 

 

L’anzianità di progetto del 60mm F traspare anche dalle misurazioni complementari: la vignettatura non è eccessiva ma 2 f/stop ai bordi ad un’apertura già chiusa come 1:5,6 e quasi 1 f/stop ad 1:11 sono valori certamente perfettibili in un obiettivo retrofocus, schema che avvantaggia molto in questo settore, e anche la distorsione superiore al 2,5% non è da primato in un esemplare che copre appena 65°; anche in questo caso il progettista, per quanto esperto, non poteva contare su alcuna realizzazione pregressa nel settore e, in pratica, ha dovuto creare tutto dal foglio bianco.

Il Distagon 60mm 1:5,6 è stato sicuramente un obiettivo molto importante per il corredo precedente alla serie 500 con otturatore centrale: dopo il mancato arrivo del Kodak Wide Field Ektar 55mm 1:6,3 (comunque utilizzabile soltanto a specchio alzato e con mirino esterno, non essendo retrofocale) quest’obiettivo Zeiss fu il primo grandangolare effettivamente disponibile per Hasselblad, un ruolo di prestigio che gli avrebbe sicuramente valso le preferenze di moltissimi utilizzatori se, ahilui, non fosse stato subito eclissato dal fantasmagorico Zeiss Biogon 38mm 1:4,5, già disponibile nel 1954 su uno speciale corpo Hasselblad realizzato appositamente: questo gioiello era in grado di coprire ben 91,1° sulla diagonale, con una correzione della distorsione a livello quasi metrico e prestazioni ottiche eccezionali: caratteristiche sufficienti a trasformarlo subito in un “ubi maior minor cessat” per il Distagon 60mm 1:5,6 e tali da mettere in secondo piano il non trascurabile dettaglio che il Biogon non era retrofocus e quindi occorreva focheggiare su scala metrica e inquadrare con un mirino esterno, peraltro in grado di garantire un perfetto allineamento grazie al rinvio ottico che inquadrava una precisa livella a bolla sul corpo macchina.

Gli inediti ardimenti che il Biogon autorizzava in foto di architettura, industriale e di interni ne fecero un immediato must have per i professionisti che, forse, mettevano più facilmente a frutto una visione supergrandangolare e perfettamente corretta come questa rispetto al timido approccio consentito dal 60mm; Victor Hasselblad non resistette alla tentazione di fare suo lo straordinario progetto di Bertele ma tale scelta generò un’inevitabile cannibalizzazione interna ai danni del nostro 60mm, per cui in 4 anni furono distribuiti solamente 2.200 pezzi, quantità molto contenute che, combinate con l’anzianità degli obiettivi e l’utilizzo professionale, rendono oggi piuttosto difficile recuperarne un esemplare in buone condizioni, una sfida comunque sensata trattandosi del primo Distagon della storia!

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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